Giancarlo Giorgetti - foto Ansa

Il caso

Ecco perché sulle pensioni la Lega si dovrà arrendere al calcolo contributivo

Marco Leonardi

Per paradosso, sarà il ministro leghista dell'Economia Giorgetti a dover fermare e archiviare la propaganda del Carroccio sulle pensioni: sul tavolo nella prossima legge di bilancio c'è Quota 41, un sistema che sarà troppo costoso per le nostre casse da realizzare

La legge di gravità del sistema pensionistico si chiama calcolo contributivo: è il sistema di calcolo delle pensioni previsto dalla riforma Dini del 1995 e che dovrebbe entrare a regime in via definitiva tra circa dieci anni. In base a questa riforma, agli occupati che hanno iniziato a lavorare dopo il 1995 si applica  il calcolo della pensione “contributivo”, ossia basato sui contributi versati. Semplificando, si riceve indietro sotto forma di rendita ciò che si è versato nel corso della vita, senza costi aggiuntivi da parte dell’Inps per aumentare l’importo della pensione.
 

  
Per questo, tutti i governi degli ultimi dieci anni hanno cercato di imporre, esclusivamente a chi voleva pensionarsi prima dei requisiti Fornero (42 anni e10 mesi per gli uomini e 41 e 10 mesi per le donne), il ricalcolo contributivo della pensione. Purtroppo non ci sono mai riusciti, sebbene sia un elemento di giustizia nei confronti dei giovani che hanno iniziato a lavorare dopo il 1995 e anche di chi è già pensionato e accetta da anni tagli consistenti dei propri assegni (10 miliardi all’anno sono i tagli alla rivalutazione delle pensioni sopra i 2.100 euro al mese) per finanziare un sistema che altrimenti non sta in piedi.  Non ci si è mai riusciti, per l’opposizione dei sindacati e di parte della politica.
 

L’unica pensione anticipata che funzionava con il ricalcolo contributivo è “Opzione donna”, mentre invece per gli uomini che volevano anticipare la pensione si è sempre ricorso a costose Quote di vario tipo (100, 102, 103 – le quote sono per lo più per gli uomini). La Lega si è sempre distinta nello sfidare più di tutti la forza di gravità del calcolo contributivo. È il partito che ha fatto Quota 100 inaugurando la stagione delle quote, ha fatto una battaglia quasi personale contro la legge Fornero, ha condotto più di una campagna elettorale all’insegna di Quota 41 per tutti. Come a volte accade, per paradosso della storia, è il ministro dell’Economia leghista a cui tocca per primo arrendersi alla forza di gravità.
 

Vale la pena ricordare brevemente cosa è successo l’anno scorso a dicembre. Per salvaguardare i conti pubblici, il ministro Giorgetti aveva già scritto in legge di Bilancio la molto restrittiva Quota 104 (41 anni di contributi e 63 di età), ma intervenne a quel punto Salvini che pretese di tornare alla precedente Quota 103. Giorgetti acconsentì a patto che fosse una Quota 103 con il ricalcolo contributivo. Fa una bella differenza aggiungere il ricalcolo contributivo che impone un taglio dell’assegno(!), e infatti Quota 103 non l’ha chiesta quasi nessuno (7 mila persone invece delle preventivate 17 mila).
 

La stessa cosa accadrà presumibilmente quest’anno: Salvini proporrà Quota 41 per tutti (costo 12 miliardi all’anno) e Giorgetti risponderà: “Quota 41 con ricalcolo contributivo”. Forse costerà troppo anche quella (1 miliardo anno) ma, qualsiasi cosa si farà, verrà ricalcolata con il sistema contributivo. La legge di gravità ha sempre ragione, era chiaro da dieci anni, ma ci si arriva solo ora.
 

Purtroppo, con  contributivo non raggiungono una pensione decente. Per questo il governo pensa di dirottare parte del Tfr (circa una mensilità all’anno è tenuta da parte dal datore di lavoro per la liquidazione) nella previdenza complementare. Già ora è possibile per ognuno di noi destinare il Tfr alla previdenza complementare, anzi è incentivato fiscalmente, ma la gente o non lo sa o non si fida. Allora si procederebbe con il silenzio assenso, rovesciando la situazione attuale: a meno che non dici il contrario, il tuo Tfr va nel fondo di categoria complementare e non rimane in azienda. Si sono già fatti in passato dei periodi di silenzio assenso. Costa, non è gratis: costa alle piccole imprese che usano il Tfr come una tesoreria liquida; costa allo stato perché il Tfr inoptato rimane nella tesoreria dell’Inps. Ma entrambi i costi sono superabili. Non dimentichiamo però che  abbiamo i fondi pensione (aperti) con le commissioni più alte di Europa. Bisognerebbe pretendere che le commissioni si abbassassero e che ci fosse competizione tra i fondi. Non mi sentirei di difendere il Tfr, un istituto unico al mondo, ce lo ha solo l’Italia, che viene da un tempo in cui l’assicurazione di disoccupazione era misera e la liquidazione era tutto.
 

Sulle pensioni il governo non può sbagliare dopo la grave colpa sul Superbonus. È riuscito a far cadere la colpa sui governi precedenti e sulla Ragioneria generale dello Stato, ma tutti dovrebbero sapere che la maggior parte della spesa del Superbonus è avvenuta nel 2023 con il governo Meloni: più della somma delle spese del 2021 e 2022, grazie agli emendamenti che hanno lasciato correre le spese mentre si diceva di volerlo fermare.

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