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il caso

Le moratorie regionali sulle rinnovabili e l'incoerenza della sinistra

Carlo Stagnaro

Dopo la Sardegna, Pd e M5s sostengono lo stop alle rinnovabili anche in Umbria e Calabria. Ma la proposta appare incostituzionale e in contrasto con la lotta al cambiamento climatico. Un dilemma politico per la sinistra, che lascia al governo Meloni la difesa dell'energia pulita e della Costituzione

Dopo la moratoria sulle fonti rinnovabili voluta dalla governatrice grillina della Sardegna, Alessandra Todde, col supporto del locale Pd, altre due regioni discuteranno provvedimenti simili: l’Umbria e la Calabria. Come in Sardegna, la proposta arriva da sinistra – in particolare da esponenti del Pd – ma, in questo caso, trattandosi di regioni governate dal centrodestra difficilmente troverà accoglimento. Questo però suscita due domande per il partito di Elly Schlein.

La prima domanda riguarda le modalità con cui perseguire la decarbonizzazione. Il Pd si è intestato la battaglia contro il cambiamento climatico, anche per reazione a una rappresentazione caricaturale che la sinistra spesso dà della destra (e che non di rado la destra dà di sé stessa). Ma in che modo si possono concretamente ridurre le emissioni se si ostacolano gli investimenti nelle fonti pulite? Il partito del Nazareno è ideologicamente contrario al nucleare e ostentatamente favorevole all’eolico e al fotovoltaico: solo che poi, quando si tratta di passare dalle parole ai fatti, prende posizioni quanto meno ambigue. Il caso sardo è solo la punta dell’iceberg: a Cagliari, Todde – col convinto sostegno dell’intera sua maggioranza – ha caratterizzato la guerra all’eolico come una politica di contrasto alla “speculazione energetica”. Ma nella sostanza si tratta di una manovra per bloccare l’installazione di nuovi impianti in una regione che per le sue caratteristiche ha importanti potenzialità e che, infatti, occupa un ruolo di primo piano nel “burden sharing” nazionale. E adesso sempre il Pd vorrebbe replicare l’esperienza sarda anche in Umbria e Calabria.

Le moratorie regionali vanno poste nel contesto della disciplina generale. Nel 2021, nel decreto di recepimento della direttiva Red-2, il governo Draghi aveva previsto l’individuazione in ciascuna regione di “aree idonee” nelle quali si sarebbero applicate procedure semplificate. Nelle more del decreto attuativo che avrebbe dovuto stabilire i criteri per la loro definizione, furono identificate delle aree ex lege. Per dar seguito alla norma ci sono voluti più di due anni: l’attesissimo decreto attuativo, firmato dal ministro Gilberto Pichetto Fratin lo scorso 21 giugno, è però arrivato come una doccia fredda sul settore. Infatti, abbandona la logica delle aree ex lege (che molti speravano di vedere consolidate) e soprattutto detta dei criteri che, se interpretati dalle regioni in modo estensivo, potrebbero consentire di dichiarare “inidonea” la quasi totalità del territorio, vanificando ogni proposito semplificatorio. La scelta del governo è assai discutibile e rende ancora più difficile centrare i target Ue su rinnovabili ed emissioni. Ma chi si aspettava che l’opposizione insorgesse è rimasto deluso: né il Pd né il M5s né Avs hanno fiatato. In compenso, essi hanno avallato la stretta sul fotovoltaico in campo firmata dal ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida e hanno apertamente sostenuto la mossa sarda, che oggi chiedono di replicare in altre regioni.

Ma c’è anche un altro piano su cui la richiesta di moratorie mette in crisi l’identità del Pd: la campagna contro l’autonomia differenziata. Già è paradossale che, tra i grandi sponsor dei ricorsi costituzionali e delle raccolte firme per il referendum, vi sia Todde, presidente di una regione a statuto speciale che gode di un grado di autonomia incomparabilmente maggiore rispetto a quello concesso dalla legge Calderoli. Ma la cosa diventa ancora più intricata se si considera che proprio quelli che agitano il rischio di frantumazione del paese invochino la regionalizzazione della politica energetica, sia dove stanno all’opposizione (Umbria e Calabria) sia dove sono al governo (Sardegna). Eppure, vi sono pochi dubbi che le moratorie siano incostituzionali, con o senza l’autonomia in qualunque sua forma. Lo confermano innumerevoli sentenze della Corte costituzionale succedutesi negli anni in seguito ai ricorsi da parte dei governi (di destra e di sinistra). Ultimo in ordine cronologico, il governo Meloni, che impugnando la moratoria sarda si trova a difendere la costituzione e l’ambiente da chi lo accusa di ignorare l’una e l’altro.

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