Un bambino tra le case sull'isola di Burano (Foto di Murat Bakmaz/Anadolu via Getty Images) 

risorsa ignorata

Cosa rischia chi punta più sui pensionati che sugli immigrati. Uno studio

Mariarosaria Marchesano

Un'indagine dell’Università Ca’ Foscari Venezia, pubblicata sul prestigioso Journal of Public Economics, dimostra che politiche aperte all’immigrazione possono far bene alle casse pubbliche. L'invecchiamento della popolazione alimenta il paradosso

Mentre il centro destra italiano si divide su ius soli e ius scholae, uno studio dell’Università Ca’ Foscari Venezia, pubblicato sul prestigioso Journal of Public Economics, dimostra che politiche aperte all’immigrazione possono far bene alle casse pubbliche. E considerando che al Mef si sta lavorando con un certo affanno alla manovra economica d’autunno, vale la pena di capire se è possibile in prospettiva ottenere maggiore margine fiscale incentivando l’immigrazione e non ostacolandola. Quello che sostiene l’economista Valerio Dotti, autore del paper della Ca’ Foscari, è che a causa di una sorta di paradosso intergenerazionale, nelle società che invecchiano demograficamente le scelte di voto della popolazione anziana tendono a favorire politiche restrittive sull’immigrazione. “In questo modo si rinuncia a un surplus fiscale”, dice al Foglio l’economista, il quale evidenzia come spesso capiti che i politici più ostili all’immigrazione, in genere la destra populista, siano anche quelli che tendono a proporre l’anticipo dell’età pensionabile riscuotendo consenso presso i più anziani. E’ successo in Italia con la Lega di Matteo Salvini e anche in Francia con il partito di Marine Le Pen. Eppure, l’elettore che gode di pensione e servizi sostenuti dalle entrate fiscali dovrebbe vedere di buon occhio l’ingresso nel paese di lavoratori giovani che contribuiscono alla finanza pubblica. Ma questo non accade e perché si crea il circolo vizioso tra politica migratoria e politica fiscale è il motivo dell’indagine che prova a elaborare un modello di voto in cui i cittadini scelgono – tramite i candidati che eleggono – sia la politica migratoria (quanti migranti far entrare) che quella fiscale (tasse e spesa pubblica).

 

Secondo Dotti, in diversi paesi come Regno Unito e Italia, i cittadini esprimono forte preoccupazione per gli effetti fiscali dell’immigrazione, anche se c’è ampia evidenza che tali effetti siano, in media positivi. “In sostanza, percepiscono l’immigrazione come un peso, quando in realtà porta benefici alle casse pubbliche”, dice. Le categorie più favorite dal surplus fiscale generato dall’immigrazione, vale a dire anziani e cittadini a basso reddito, sono per paradosso anche le fasce sociali che mostrano maggiore avversione all’immigrazione. “La spiegazione di questi paradossi – afferma l’economista – sembra risiedere nel fatto che i benefici fiscali portati dall’immigrazione tendono a essere goduti principalmente dalle classi agiate penalizzando invece i votanti nativi anziani e a basso reddito”. La conseguenza è che questo tipo di elettori è fortemente ostile alle politiche aperte sull’immigrazione e sostiene i candidati anti-immigrazione. Lo studio arriva a tre conclusioni.

La prima è che l’invecchiamento della popolazione aumenta la pressione politica per limitare l’afflusso di lavoratori immigrati.

La seconda è una conseguenza della prima e cioè l’invecchiamento della popolazione può aiutare a spiegare il successo dei politici e dei partiti anti immigrazione negli ultimi anni.

La terza è che l’inasprimento della politica di immigrazione è generalmente dannosa soprattutto per i giovani e le generazioni future.

 

“In particolare – aggiunge Dotti - l’invecchiamento della popolazione aumenta il potere degli anziani di modellare le politiche pubbliche in base alle proprie esigenze. Di conseguenza i giovani nativi e i giovani potenziali immigrati pagano un prezzo. Sui primi ricade l’onere finanziario di sostenere una popolazione longeva in crescita mentre ai secondi viene impedito di cercare migliori opportunità di lavoro e di vita a causa di politiche eccessivamente restrittive”. Quindi più aumenta l’invecchiamento demografico più aumenta la percentuale di votanti che chiede di limitare l’ingresso di stranieri più la situazione fiscale del paese peggiora perché si perde parte del surplus dovuto all’immigrazione.

 

Ma cosa accadrebbe se aumentasse la natalità? “Sarebbe auspicabile ma natalità e immigrazione dovrebbero essere politiche complementari e non alternative se si vuole garantire la sostenibilità del sistema pensionistico nel lungo periodo. Pensionati contro immigrati è un paradosso che fa male ai paesi che invecchiano”. In questo senso, conclude Dotti, servono più meccanismi di aggiustamento automatici della spesa pubblica, anche relativamente alla percentuale di pensionati rispetto alla popolazione attiva, e maggiore consapevolezza sul valore dell’immigrazione per i conti pubblici.