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Il partito del pil ha un'occasione per dettare l'agenda al governo

Carlo Stagnaro

Associazioni di categoria e non solo. È ora di una lista  di riforme per il governo. Condivisa. Appello. E idee

La legge di bilancio 2025 avrà un significato profondo, per il governo e per il paese. Per il governo rappresenta, in teoria, l’apice della sua politica economica: scavallato l’anno, inizierà la marcia verso le prossime elezioni politiche e non ci sarà più tempo per mettere in campo manovre di ampio respiro. Per il paese, terminato l’effetto della spesa pubblica drogata dalle misure pandemiche, è fondamentale interrogarsi su come mettere benzina nel motore della crescita in un contesto di bilancio sempre più ingessato dalla crescente spesa per il servizio al debito e dalle legacy delle spese pazze tipo superbonus. Se c’è un momento in cui la società civile dovrebbe mobilitarsi per incalzare il governo, quel momento è adesso.

Ma i tempi stringono: i principali corpi intermedi – anzitutto le associazioni datoriali come Confindustria, Confartigianato, Confcommercio e via discorrendo, ma anche i sindacati – dovrebbero costruire una proposta da sottoporre all’esecutivo. Per dare un significato concreto a quell’etichetta, partito del Pil, che spesso accarezzano ma che raramente traducono in pratica.

Una mobilitazione collettiva di questo tipo è importante anche per un’altra ragione: normalmente il processo di redazione della legge di bilancio vede una fila di questuanti bussare alla porta del Mef, ciascuno con le proprie doglianze e le proprie richieste. Spetta fisiologicamente alla politica il compito di fare sintesi: ma in tal modo, le lamentele dell’uno forniscono l’alibi per rigettare le pretese dell’altro. Un programma compatto, che rappresenti le esigenze di una base ampia di interessi e prospettive, presentato alla luce del sole, non potrebbe invece essere ignorato. Ma avrebbe senso solo se tenesse in adeguata considerazione i vincoli: per ogni richiesta, ciascuno deve essere disposto a mettere sul piatto qualcosa. 

Sono almeno tre i grandi temi su cui è necessario intervenire.

Il primo è, ovviamente, la direzione complessiva del bilancio pubblico. La situazione attuale è insostenibile: le tasse sono troppo alte rispetto alle possibilità dei contribuenti ma anche troppo basse rispetto alla spesa. Questa va ripensata (e tagliata), quelle vanno razionalizzate e ridotte. Per ogni euro di spesa aggiuntiva, il partito del Pil dovrebbe suggerire al governo (almeno) un euro di tagli.

Il secondo tema è l’autonomia: a dispetto delle polemiche più o meno strumentali, una riorganizzazione dei servizi pubblici rappresenta tanto un rischio quanto un’opportunità. Invece di fare resistenza passiva, sarebbe importante riflettere su come fare dell’autonomia un percorso virtuoso, migliorando la qualità dei servizi dove ve ne sono l’intenzione e la capacità e interrogandosi sul perché altrove le cose vadano diversamente. 

Infine, le imprese dovrebbero porre seriamente al governo il problema del costo dell’energia. La legge di bilancio 2023 (la prima firmata Meloni) dava mandato all’Autorità per l’energia di fare una proposta organica per ridurre gli oneri generali di sistema, trasferendoli strutturalmente sulla fiscalità generale. L’Arera avanzò una prima ipotesi, che cadde nel vuoto. Quella proposta andrebbe ripresa in mano e discussa. Naturalmente ridurre la parafiscalità sulle bollette obbliga a trovare altre basi imponibili (o tagliare spese corrispondenti): quindi, ancora una volta, la spending review diventa il pilastro di una sana politica economica. Per le imprese, il governo dovrebbe studiare da vicino l’esempio della Germania, che utilizza il gettito delle aste della CO2 per evitare che le aziende energivore siano messe fuori mercato dal costo delle politiche ambientali. 

C’è infine una questione più ampia, che ha una rilevanza di lungo termine sia per il bilancio pubblico, sia per la produttività: l’immigrazione. Nonostante la retorica anti-immigrati, va dato atto a Meloni di aver varato un decreto flussi più ampio rispetto al passato, ma ancora gravemente insufficiente. Senza un apporto consistente di capitale umano, l’Italia è destinata a spegnersi. Questo fatto è ben chiaro a tutte le associazioni datoriali e del lavoro, che ricevono quotidianamente messaggi preoccupati: questa consapevolezza diffusa va tradotta in una verità politica. 

Se il partito del Pil vuole dare un contributo, deve fare uno sforzo di coraggio e generosità: andare col cappello in mano a Palazzo Chigi non serve agli interessi organizzati e non serve al governo. Se i corpi intermedi di questo paese avranno il coraggio di sfidare Meloni non con una lista della spesa ma con un progetto di ampio respiro, la premier non potrà che trarne vantaggio.