L'editoriale del direttore
Abbasso i dazi, viva la concorrenza (anche delle auto cinesi)
Protezionisti, populisti, sindacati, Confindustria: tutti d’accordo con la decisione dell’Ue di creare norme punitive contro le auto elettriche cinesi. I dazi in realtà sono un dramma: per i consumatori, per la transizione energetica e pure per l’industria europea
Quello che stiamo per scrivere non è popolare, lo sappiamo, ma è arrivato il momento di riflettere su questo tema e di dire con forza quello che le forze politiche, per ragioni diverse, non hanno il coraggio di dire. Il tema è apparentemente noioso, lo sappiamo, ma dietro a questo tema, e dietro a questi numeri, c’è una storia importante, che riguarda il futuro dell’economia italiana, che riguarda il futuro dell’industria europea, che riguarda il futuro di una delle più importanti aziende italiane, che riguarda il futuro di un settore strategico per il nostro paese, che riguarda il futuro della transizione ecologica, che riguarda il futuro della lotta contro il cambiamento climatico, che riguarda il futuro del potere d’acquisto di ciascun consumatore. La storia che vi stiamo per raccontare riguarda una parola spesso inafferrabile, i “dazi”, collegata a un paese altrettanto inafferrabile, la Cina, e quel che andrebbe detto con forza e convinzione è che, per quanto la Cina possa far paura, la decisione dell’Unione europea di creare norme punitive contro le auto cinesi non è solo clamorosamente ridicola ma è anche gravemente sbagliata. La storia probabilmente la conoscete già. Lo scorso 5 luglio, in Unione europea, sono entrati in vigore i dazi provvisori sulle auto elettriche prodotte in Cina. I dazi definitivi entreranno in vigore entro novembre, a meno di soluzioni alternative trovate dall’Europa, e andranno a costituire, a seconda dei casi, imposte aggiuntive per le aziende che producono auto cinesi da un minimo del 20,8 per cento in più rispetto alle imposte attuali a un massimo del 37,6 per cento in più. I dazi, fino a oggi, hanno rallegrato tutti, o quasi.
Hanno fatto gioire le forze politiche maggiormente scettiche nei confronti della Cina. Hanno fatto gioire le forze politiche maggiormente preoccupate per le condizioni dell’industria dell’Automotive in Italia. Hanno fatto gioire i giornali più vicini alle aziende che producono auto in Europa. Perché i dazi mettono d’accordo tutti. I protezionisti, i populisti, gli amici della classe operaia, i proprietari di alcuni giornali, i sindacati, Confindustria. Eppure, misteriosamente, nessuno o quasi ha scelto di mostrare quello che è l’elefante nella stanza, quando si parla di dazi sulle auto elettriche cinesi, e l’elefante nella stanza siamo tutti noi. I dazi alle auto cinesi sono un triplo dramma. Sono un dramma per i consumatori, naturalmente, ai quali viene vergognosamente tolta la possibilità di acquistare delle auto a basso costo (l’azienda cinese produttrice di auto elettriche Xpeng ha da poco lanciato un’auto elettrica, Mona M03, che punta a fare concorrenza a Tesla con prezzo di vendita che si aggira attorno ai 15 mila euro). Sono un dramma per la transizione energetica e non si capisce come l’Unione europea possa considerare la lotta contro il cambiamento climatico come una priorità assoluta, al punto da voler proibire il motore a induzione termica nel 2030, e poi rendere assai più costoso per i consumatori italiani l’acquisto di auto elettriche a basso costo (come sostiene con saggezza Alberto Mingardi, se la priorità è la transizione, la strategia che ha senso è avere più macchine elettriche possibili, al prezzo più basso possibile. Se invece la priorità è l’industria europea, i tempi della transizione dovrebbero essere rivisti). E sono un dramma anche per il settore industriale europeo, per la semplice ragione che le tariffe agevolano le imprese inefficienti e per la semplice ragione che le imprese che vogliono crescere, maturare, innovare, e se vogliono essere competitive su scala globale sanno che lavorare per avere una concorrenza leale dovrebbe essere una priorità superiore al lavorare per ostacolare la concorrenza (il settore dell’Automotive europeo dovrebbe forse chiedere il conto non ai produttori di auto cinesi ma alla Commissione europea, che scegliendo di accelerare sulla transizione con un approccio ideologico – perché incentrato sul solo motore elettrico – non ha fatto altro che rendere più vulnerabile il settore industriale europeo, non ancora pronto ad affrontare la sfida dell’efficienza cinese).
Maria Carla Sicilia e Antonio Sileo, sul Foglio di venerdì scorso, hanno giustamente notato che con l’introduzione di tariffe doganali, “la Commissione vuole offrire un ombrello temporaneo alle imprese europee affinché si rafforzino nella produzione di auto elettriche ma la stessa Commissione non si è resa conto che l’effetto della sua azione è quello di penalizzare i consumatori con l’aumento del prezzo delle vetture più accessibili – quelle cinesi – senza che per l’industria europea cambi nulla dal punto di vista regolatorio”. Il punto è proprio questo. Contro la decisione dell’Unione europea di imporre dazi contro le auto cinesi dovrebbe esserci una rivolta. Una rivolta dei consumatori, a cui non è consentito avere delle macchine elettriche a costo moderato/accessibile. Una rivolta degli ambientalisti, che dopo aver teorizzato per decenni la necessità di avere più auto elettriche scoprono ora che l’unico modo per avere meno emissioni è non aver paura della globalizzazione. Una rivolta del mondo progressista, che non si capisce come possa accettare il fatto che le auto elettriche debbano essere un bene al servizio solo del ceto benestante. Una rivolta anche degli imprenditori più illuminati dell’Automotive, se davvero esistono, che di fronte alla sfida della Cina piuttosto che chiudersi a riccio, piuttosto che aver paura della propria ombra, piuttosto che alzare muri dovrebbero accettare la sfida e dovrebbero trasformare la concorrenza globale in uno stimolo a essere più efficienti, più innovativi, più competitivi.
“L’abolizione delle tariffe doganali interne – ha detto Fabio Panetta, governatore di Bankitalia, il 21 agosto al Meeting di Rimini – ha favorito la specializzazione produttiva e la realizzazione di economie di scala, stimolando l’efficienza e la concorrenza e accrescendo l’occupazione e il benessere. Si stima che in assenza del mercato unico il reddito pro capite in Europa oggi sarebbe inferiore di un quinto”. Certo, proteggere la propria industria facendo a meno dei dazi significa dover investire, significa dovere utilizzare i soldi che si hanno nel portafoglio per innovare, non per fare cassa, significa dover riflettere due volte prima di smantellare i propri impianti, prima di vendere i propri gioielli di famiglia, prima di fare di tutto per trasformare i propri impianti in gioielli di produttività nel mondo (citofonare Stellantis). Ma alla fine la regola è sempre quella e vale anche oggi: i dazi danneggiano chi li impone più di chi li subisce (e nessuno ha mai dimostrato che una macchina elettrica cinese venduta corrisponda a un’automobile europea che non viene venduta). E senza dazi, i consumatori godono di prezzi più bassi, e di una maggiore varietà, mentre le aziende si concentrano su ciò che producono al meglio. Alla fine, è ovvio, le auto elettriche cinesi troveranno altri consumatori. Ma senza auto cinesi a basso costo chi vuole comprarsi una macchina elettrica e non può permettersi una Tesla e non è riuscito a rientrare nell’ultimo slot di incentivi del governo, per quale motivo non deve poter beneficiare delle meraviglie della concorrenza, degli splendori del mercato, delle delizie di una globalizzazione che, in mancanza di muri, permette a un consumatore di avere un mercato accessibile anche a chi non ha le risorse per comprare una Tesla? Abbasso i dazi, viva la concorrenza, anche se questa ci porterà più auto cinesi in mezzo alle scatole.