I dati del Wall Street Journal
L'immigrazione in America ha migliorato il pil senza togliere lavori agli americani
Il Wjs smentisce la propaganda di Trump: l'ondata migratoria record negli Stati Uniti sotto Biden ha contribuito alla crescita economica e occupazionale, senza causare crisi o disoccupazione. Cosa è emerso dallo studio di Cbo, il il Congressional budget office
La lezione americana su occupazione, crescita e immigrazione viene dal Wall Street Journal controllato da Rupert Murdoch che non è esattamente un liberal. In prima pagina il quotidiano ha pubblicato uno studio del CBO il Congressional budget office, l’ufficio parlamentare del bilancio, agenzia federale rigorosamente non partitica, che smentisce gran parte della propaganda trumpiana. Gli Stati Uniti – scrive il giornale – stanno sperimentando la più grande ondata migratoria da molte generazioni. Dalla fine del 2020 sono arrivati da tutto il mondo legalmente o illegalmente, oltre 9 milioni e 300 mila immigrati, tre volte tanto rispetto al quadriennio precedente, hanno fatto crescere la popolazione di quasi l’1,2% la quota più alta dagli anni ’90. Senza un tale flusso la popolazione americana sarebbe aumentata dello 0,2% appena, avviandosi rapidamente verso il declino. Soprattutto è stato trasformato il mondo del lavoro. Tutto ciò è avvenuto durante la presidenza Biden, su questo Donald Trump ha ragione, ma ha torto quando dice che la grande ondata ha provocato crisi economica e disoccupazione. Al contrario, gli Stati Uniti dopo la pandemia hanno vissuto un vero e proprio boom con una crescita che ancora continua, superiore in media a quella cinese. Ma chi sono questi nuovi immigrati e da dove provengono?
Il CBO spiega che 2,6 milioni, meno del 30%, sono “residenti legali permanenti”, cioè hanno la green card o visti basati sulla famiglia o il posto di lavoro. Ad essi si aggiungono circa 230 mila studenti e occupati temporanei. Tutti gli altri, circa 6,5 milioni di donne e uomini, sono entrati senza autorizzazione, illegalmente, muri o non muri, per lo più hanno varcato il Rio Grande, poi si sono rivolti alle autorità in cerca di asilo o di un permesso di lavoro. Molti sono stati ospitati in ricoveri temporanei forniti dal governo e in maggioranza hanno trovato un’occupazione perché in questo quadriennio gli Stati Uniti hanno creato più posti di lavoro di quanti i cittadini americani erano in grado di riempire o volevano farlo. L’afflusso preponderante è dal resto dell’America centrale e meridionale o dai Caraibi, quindi lo spagnolo è la lingua prevalente. Prendendo i singoli paesi, il 14,1% proviene dal Venezuela, il 12,8% dal Messico, poi Honduras, Cuba, Guatemala. India, Cina, Africa contano molto poco. Quanto all’Europa, l’unica quota significativa è dalla Russia. Le principali mete sono Florida, Texas, California, New York e New Jersey, dunque non necessariamente dove c’è più scarsità di manodopera. Influiscono infatti i fattori culturali, linguistici, familiari, climatici persino, anche se stiamo parlando comunque delle aree più affluenti degli Stati Uniti. Se consideriamo le classi di età, vediamo che gli immigrati sono in genere giovani, più giovani della media della popolazione nordamericana, e ciò conferma non la “sostituzione etnica” agitata dagli xenofobi, ma un “rinvigorimento demografico” per colmare il vuoto generazionale che si sta creando man mano che la popolazione invecchia.
Non è nemmeno vero che gli immigrati abbiano “rubato” posti di lavoro ai residenti. Il tasso di disoccupazione dei nuovi arrivati viene calcolato in media all’8%, quello dei lavoratori nati negli Stati Uniti è di poco superiore al 4%. Se competizione c’è, resta limitata ai lavori più poveri e con più bassi salari. Il problema principale non è bloccare gli ingressi tanto meno reimpatriare chi è arrivato. Tra l’altro è davvero possibile espellere nove milioni di persone? La vera questione semmai è attirare forza lavoro con alta professionalità. Ciò vale, e forse ancor di più, per l’Europa stessa. L’immigrazione di questi anni non ha contribuito in modo consistente ad aumentare la produttività, ha accresciuto invece le entrate fiscali americane perché chi trova un lavoro comincia a pagare subito le imposte. I mestieri più comuni sono muratori, domestici, cuochi, vengono solo all’ottavo posto i programmatori dei quali invece c’è gran bisogno. Sono aperte le porte ai mitici ingegneri dall’India. Il sogno americano è ancora vivo, semmai va riqualificato.