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le reazioni al decreto

I balneari traditi accusano il governo. Garavaglia (Lega): “Chiedete a FdI”

Maria Carla Sicilia

Nella maggioranza si prendono le misure su cosa è possibile modificare in Parlamento (poco o nulla). "Chi ha detto che si poteva cambiare tutto era Fratelli d’Italia", dice l'ex ministro del Turismo. I sindacati di categoria promettono barricate

Il silenzio è durato un giorno, il tempo di valutare e prendere le misure. Poi i sindacati dei balneari si sono scatenati contro il governo: “Il provvedimento legislativo adottato dal consiglio dei ministri sulle concessioni demaniali marittime vigenti non ci soddisfa perché prevede la messa a gara delle aziende”. In effetti non c’è altro modo di vederla: la proroga strappata dal ministro Raffaele Fitto dopo una serrata trattativa con Bruxelles rinvia di tre anni – quattro in alcuni eccezionali casi, arrivando dunque al 2028 – la scadenza per la messa a bando delle concessioni balneari ma non impedisce agli enti locali di procedere anche prima. Soprattutto, come già notato sul Foglio, non ferma la giustizia amministrativa che in caso di ricorso ha  più volte obbligato i comuni a pubblicare i bandi. Certo, il decreto legge stabilisce nuovi criteri per le assegnazioni  tentando di tutelare i concessionari uscenti e introducendo degli indennizzi. Perché appunto, le gare si devono fare, meglio provare a fare a fare ordine. Ma “erano altre le aspettative generate dalle dichiarazioni degli esponenti dell’attuale governo”, hanno ammesso prospettando barricate Antonio Capacchione e Maurizio Rustignoli, presidenti rispettivamente di Fipe/Confcommercio e  Fiba/Confesercenti. 

La promessa in questi due anni di maggioranza di centrodestra era quella di riuscire a escludere il settore dall’applicazione della direttiva Bolkestein, nonostante le procedure di infrazione e le sentenze inequivocabili dei giudici. Poi nell’ultimo mese le parole d’ordine sono diventate: prelazione e indennizzi. Ora tra i deputati e i senatori che più si sono spesi per restare fedeli alla linea non manca un po’ di sconcerto per l’accordo obbligato che ha trovato l’assenso dei tre leader della maggioranza. “A me pare un ottimo compromesso”, dice invece al Foglio Massimo Garavaglia, senatore leghista ed ex ministro del Turismo che nel governo Draghi si è occupato con Giancarlo Giorgetti di scrivere la norma che ha aperto alla liberalizzazione del settore, come richiesto dalla legge sulla Concorrenza del 2022. “In Cdm si è consumato il primo atto di un esproprio ai danni di trentamila imprese balneari”, fu il commento di Giorgia Meloni che otto mesi dopo sarebbe diventata premier. Salvini dovette cucirsi la bocca. “Chi ha detto che si poteva cambiare tutto era Fratelli d’Italia. Bisognerebbe chiedere a loro cosa ne pensano, perché a parte una ragionevole proroga della norma esistente non mi pare sia cambiato molto”, dice Garavaglia quando gli chiediamo se hanno ragione i balneari a sentirsi traditi. 

 

Per il momento da Fratelli d’Italia arrivano pochi e timidi commenti. L’ordine dall’alto, per tutta la maggioranza, è quello di restare compatti e insistere sui punti del provvedimento che offrono  qualche forma di indennizzo agli imprenditori del settore. La consapevolezza è che difficilmente si sarebbe potuto strappare più. La sintesi l’ha fatta ieri Fitto: “La collaborazione tra Roma e Bruxelles ha consentito di trovare punto di equilibrio tra la necessità di aprire il mercato delle concessioni balneari e l’opportunità di tutelare le legittime aspettative degli attuali concessionari italiani”, ha scritto il futuro commissario europeo su X.  

Ora la compattezza della maggioranza si misurerà in Parlamento, dove qualcuno potrebbe cedere alla tentazione di aprire alle richieste dei balneari. A risentirne sarebbe la credibilità degli impegni presi da Fitto. Un fronte su cui Lega e FdI ragionano è quello di migliorare il passaggio relativo agli indennizzi. Per i sindacati di categoria sono del tutto insufficienti perché secondo il decreto dovranno essere calcolati sulla base degli investimenti non ammortizzati degli ultimi cinque anni. Rispetto alla precedente versione del ddl Meloni-Fitto l’importo è ridimensionato, perché in quel testo, come anche nella legge sulla concorrenza del governo Draghi, si faceva riferimento all’intero valore aziendale. Ma anche questo risultato è frutto del confronto con la Commissione europea, che avrebbe ritenuto limitante alzare gli importi a carico dei concessionari subentranti.  “Ce lo chiede l’Europa” potrebbe essere l’alibi da rispolverare. Se non fosse quasi un cortocircuito, visto che a Bruxelles tra poco ci sarà proprio il ministro che ha condotto la trattativa.

  • Maria Carla Sicilia
  • Nata a Cosenza nel 1988, vive a Roma da più di dieci anni. Ogni anno pensa che andrà via dalla città delle buche e del Colosseo, ma finora ha sempre trovato buoni motivi per restare. Uno di questi è il Foglio, dove ha iniziato a lavorare nel 2017. Oggi si occupa del coordinamento del Foglio.it.