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L'analisi

I numeri che la sinistra non vede quando parla a vanvera di transizione inclusiva

Chicco Testa

Incentivi alle rinnovabili, Superbonus e auto elettriche: sono le principali misure adottate dall'Italia in direzione green, ma sono piene di problemi. E gli unici che sono rimasti a non rendersene conto sono i membri dell'opposizione. Qualche idea

Quante volte è stato detto che la transizione green deve essere inclusiva e non lasciare indietro nessuno? Addirittura nelle versioni più forti la soluzione della crisi ambientale è destinata a produrre benessere, mitigare le ineguaglianze, far crescere l’occupazione, fermare le migrazioni climatiche, ridurre il divario fra nord e sud del mondo. Ma, come diceva il filosofo, la prova della bontà del budino sta nel mangiarlo. Caliamo quindi questi meravigliosi concetti nella nostra Italia esaminando le principali misure che sono state prese nella direzione green.
 

La prima riguarda gli incentivi dati alle rinnovabili. Scopo assai nobile che però è costato già circa 150 miliardi di incentivi destinati a diventare 200 a fine corsa. Più una miriade di altri interventi necessari a rendere compatibili le rinnovabili con il sistema elettrico. Comunità energetiche, potenziamento delle reti, batterie per accumuli, altri incentivi per rinnovabili non mature (biomasse, geotermia avanzata, eolico off shore….) Mal contati un altro centinaio di miliardi. Non discutiamo qui la bontà di queste scelte ma facciamo una semplice domanda. Chi paga? Tutte queste spese finiscono nelle bollette degli italiani, soprattutto delle famiglie, visto che occorre tutelare la competitività delle imprese, con effetti regressivi enormi.
 

Praticamente tasse occulte senza alcun criterio di progressività. Riduci l’Irpef per i redditi più bassi e quel che gli dai glielo togli con i costi aggiuntivi sulle bollette. La seconda misura per ordine di grandezza è stata il Superbonus 110, 150 miliardi tutti a carico del bilancio, cioè del deficit, dello stato. Tutto bene? Assolutamente no perché l’obbligo a coprire il debito comporta inevitabilmente drastici tagli e risparmi sullo stato sociale, di cui godono soprattutto i ceti più deboli: scuola e sanità in primo luogo. Risultati ambientali ottenuti? Trascurabili. Naturalmente chi ha soprattutto voluto questa misura, Pd e 5 Stelle, ora grida contro le misure “lacrime e sangue” che il governo è costretto a prendere.
 

Veniamo alla terza misura. Incentivi per auto elettriche, che sono andati per la maggior parte alle flotte aziendali, agli autonoleggiatori, e a coloro che hanno scelto l’ auto elettrica, come seconda auto urbana anche per accedere alle ZTL, soprattutto se dotati di garage con ricarica. Non risultano proletari periferici fra i possessori. Anche questi a carico del bilancio statale per quella che ormai è diventata una bonus/economia. Nel contempo si è generata una crisi del settore dell’auto europea con un drastico calo dell’occupazione. Spericolati commentatori segnalano il caso della Norvegia, dove l’auto elettrica ha raggiunto una notevole penetrazione. Solo che la Norvegia ha 5,4 milioni di abitanti e un pil procapite più del doppio di quello italiano. Uno spaventoso attivo di bilancio investito in uno dei fondi sovrani più grandi. Può essere un modello per l’ Italia?
 

Tra parentesi dati simili soprattutto per quanto riguarda il costo dell’energia, a parte il deficit, presenta la Germania. Non pochi commentatori stabiliscono una relazione fra il successo delle destre estreme e la protesta contro il green deal. Nel resto del mondo, soprattutto quel Sud che dovrebbe beneficiare della transizione, l’attenzione è tutta concentrata sulla crescita economica e sulla lotta alla povertà. Le misure green mondiali vengono sempre più accusate di “colonialismo ambientale”. Voi siete diventati ricchi immettendo in atmosfera miliardi di tonnellate di CO2 (gli Stati Uniti sono ancora il primo emettitore assoluto e soprattutto procapite e il primo produttore di gas e petrolio) e adesso chiedete a noi di fare i bravi. Fanno quindi ricorso in modo massiccio ai combustibili fossili, per alcuni paesi esportatori sono diventati una percentuale importante del pil, e spingono verso l’alto i consumi di carbone e gas che nel 2023 hanno toccato il loro record storico. Con annesse emissioni. Si resta stupiti di come la sinistra italiana non veda questi numeri, soprattutto quelli del nostro paese, e continui a navigare nell’empireo di una transizione che rappresenta solo un collante ideologico senza piedi ben piantati per terra. E piuttosto incurante degli interessi di quelli che dovrebbero essere i suoi elettori. Che infatti votano altri. 

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