La svolta che si aspetta Cernobbio da Meloni è sul protezionismo

Stefano Cingolani

La prima volta di Meloni al forum Ambrosetti. Per un'Italia affidabile in Ue e competitiva serve un piano su debito, riforme fiscali e attrazione di investimenti. Le sfide sulle pensioni, sulla giustizia e sulla transizione industriale: la premier accolga il rapporto Draghi

Il primo incontro serve per guardarsi, studiarsi, prendere le misure. Il secondo per conoscersi. Tra Cernobbio e Giorgia Meloni vale lo stesso galateo. L’anno scorso Giorgia Meloni non è andata, ora il governo è presente in massa, è atteso Zelensky, c’è anche Orbàn, non mancano le occasioni mediatiche, ma il pubblico che ogni settembre ormai da mezzo secolo si riunisce al forum sul lago di Como è interessato ai fatti più che alla loro rappresentazione. Che cosa porterà dunque Giorgia Meloni nella sua agendina? Il presidente Mattarella ha dato il la dicendo che “abbattere il debito è una necessità ineludibile” e “non bisogna aver paura delle riforme”. Adesso tutti si aspettano che chi guida il governo dica come abbattere il debito e quali riforme. Non c’è molto da inventare, per far scendere il debito occorre ridurre il disavanzo pubblico, l’Unione europea ha fissato nuove regole, ci sono sette anni di tempo, ma si comincia subito tra una decina di giorni con il piano a medio termine richiesto dalla Ue e poi con la legge di bilancio.

 

L’Italia ha delle carte da giocare: continua a crescere (occupazione compresa) anche se l’economia rallenta e grazie all’aumento dei posti di lavoro, oltre che agli utili delle banche e delle imprese, sono entrati nelle casse del Tesoro circa 19 miliardi di euro più del previsto. Fa bene Giancarlo Giorgetti a non parlare di “tesoretto” per non alimentare il tradizionale assalto alla diligenza. Giorgia Meloni dovrebbe ribadire che la prossima manovra sarà all’insegna non della spesa, ma del risparmio, e grazie a una congiuntura non sfavorevole si può fare senza che si materializzi lo spettro dell’odiata austerità. Per non restare sulle generali, è importante dire parole chiare sulle pensioni (la Fornero non si tocca e non si ritocca) e sul fisco (inutile e dannoso continuare con deduzioni, detrazioni, scappatoie che, sommate alla giungla dei bonus, rendono impossibile equilibrare quel che si prende e quel che si dà). Anche sulle riforme il cammino è tracciato, tra l’altro dovranno essere comprese in modo preciso nel piano da presentare alla Commissione europea. La prima da portare a termine è la giustizia, faceva parte anch’essa del Pnrr, è stata accelerata dal governo Meloni, è ora di aprire i cantieri, proprio come per il piano di investimenti finanziato dalla Ue. Raffaele Fitto se ne va a Bruxelles e ci si aspetta che venga annunciato chi verrà messo al timone della complessa macchina che in molte parti procede troppo lentamente.
     

Ma non è con un pedissequo elenco di conti e scadenze che Giorgia Meloni darà un colpo d’ala. Il pubblico di Cernobbio è composto da osservatori interessati a capire se e come l’Italia da una parte è affidabile finanziariamente e politicamente, dall’altra è capace di attrarre non solo i turisti, ma i capitali e gli investimenti. Ci sono strumenti che dipendono dal bilancio pubblico (come i sostegni della legge 5.0 o il regime fiscale per chi crea nuovi posti di lavoro), ce ne sono altri che riguardano le infrastrutture (qui il gap digitale resta una palla al piede). Ancor più importanti sono gli incentivi che dipendono dal clima sociale, culturale e politico. Nessuno si aspetta che l’Italia guidata da un governo di destra proponga una sorta di politica dei redditi né, tanto meno, un patto consociativo. C’è attesa invece che si metta in soffitta un velleitario protezionismo nazionalista. Se i fondi d’investimento vengono considerati ancora “barbari alle porte”, se l’acquisto di una impresa diventa “svendita allo straniero” anche quando viene chiaramente rafforzata e rilanciata (nel settore del made in Italy è avvenuto quasi sempre), se si usa il golden power non per proteggere attività veramente strategiche, ma come nuova ciambella di salvataggio, ebbene l’Italia resta nel suo piccolo mondo antico. Siamo nel bel mezzo di una grande transizione industriale (non solo energetica, digitale, ecologica, ma di modello), se Giorgia Meloni accoglierà il rapporto Draghi, potrà mostrare che l’Italia non si chiude, non fa resistenza, e affronta il cambiamento in quella dimensione europea senza la quale è destinata a fallire.