La lettera
È ora di aggredire la spesa improduttiva per stimolare la crescita
Il dibattito sulle nuove regole europee di bilancio sottolinea l'importanza di equilibrare crescita e stabilità. Bisogna adottare un approccio che integri investimenti e riforme con una spesa pubblica che abbia una programmazione a medio-lungo termine. Ci scrive il sottosegretario all'Economia
Al direttore – Il dibattito di questi giorni sull’applicazione delle nuove regole europee di bilancio è animato da considerazioni che, seppur pienamente legittime, talvolta non sembrano cogliere appieno la dimensione della sfida che abbiamo di fronte. Il rischio che ne deriva è l’eccessiva enfatizzazione di una visione parziale che assimila l’impegno a cui è chiamato il paese al solo perimetro della correzione. La traslazione dei parametri comunitari all’interno della programmazione economica nazionale ha una portata essenziale: omettere o minimizzare questa considerazione sarebbe fuorviante oltre che intellettualmente poco onesto. Per un inquadramento responsabile della questione credo sia necessario, però, fare un passo indietro. Quando l’Europa iniziò a interrogarsi sulla strada da intraprendere dopo la stagione eccezionale della pandemia, le diverse ricette ipotizzate presentavano distanze considerevoli e previsioni decisamente più restrittive – soprattutto per i paesi che, come l’Italia, presentano un elevato livello di indebitamento – rispetto a quelle poi confluite nella riforma del Patto di stabilità e crescita. Un punto, tuttavia, è rimasto centrale: allora, come oggi, le parole da cerchiare in rosso sono crescita e stabilità.
Una crescita matura, quindi robusta, diventa sostenibile se costruita su finanze pubbliche sane e virtuose. Non esiste stabilità senza crescita e non esiste crescita senza stabilità. Se vogliamo raccogliere l’imminente sfida dobbiamo prendere atto del carattere indissolubile di questo binomio. Spetta a tutti farlo. All’Europa, che in passato ha talvolta disatteso questo equilibrio. All’Italia, che deve interpretare questo impegno come un’opportunità rinnovata. Possiamo e dobbiamo indossare occhiali capaci di guardare oltre la prospettiva, decisiva ma non esclusiva, della correzione dei conti. Senza questi occhiali, infatti, la nostra visione sarebbe limitata, inchiodata al “numeretto” di turno.
Ogni sforzo programmatico sarebbe vano perché mosso esclusivamente da calcoli “ingegneristici”, avulsi da una direzione di marcia che è, al contrario, imprescindibile. Perderemmo, insomma, quella visione di medio termine che è l’essenza stessa della programmazione e, in ultima analisi, del Piano. Rinchiudersi in una dimensione eccessivamente contabile rischia, peraltro, di risultare claustrofobico per la crescita e lo sviluppo del paese. Sarebbe un po’ come restare seduti comodi nel salotto del Titanic senza mai guardare fuori dall’oblò. Ignari delle condizioni del mare. Preoccupati della qualità della musica dell’orchestra e non dell’iceberg di fronte alla nave. Spetta alla politica (ri)appropriarsi di questo impegno. L’occasione è rappresentata proprio dal Piano strutturale di bilancio. Due aspetti, strettamente connessi tra di loro, sono di fondamentale importanza. Il primo riguarda gli investimenti e le riforme. La possibilità di estendere la durata della traiettoria di riferimento per la spesa pubblica netta fino a 7 anni è vincolata alla capacità di definire un programma che nel primo ciclo può includere il Pnrr. È qui che le ragioni, sacrosante, dei conti in ordine, si incrociano con quelle, doverose, della crescita. In sintesi: il Piano strutturale di bilancio e la traiettoria della spesa vanno considerati come due binari che si intersecano tra di loro. E’ da questo incrocio che la traduzione delle nuove regole fiscali può risultare virtuosa e sostenibile.
L’obiettivo principale deve essere pertanto quello di individuare gli investimenti e le riforme che, calibrati sul livello di spesa concordato con l’Ue, sono più funzionali a garantire una programmazione adeguata al paese. Una spesa sana è quella che si alimenta di investimenti e riforme capaci di generare un impatto positivo sul pil e su tutte le dimensioni della crescita, a iniziare dalla produttività. In tal senso, la revisione del Piano nazionale di ripresa e resilienza rappresenta un precedente virtuoso. È evidente che il riordino è stato possibile solo grazie a una valutazione qualitativa degli investimenti. Assicurando a tutti i progetti esclusi dal Pnrr una fonte di finanziamento alternativa, il Piano è stato ripulito da quelle cellule malate che rischiavano di infettare quelle sane. È proprio questo metodo che dobbiamo seguire ora che siamo chiamati a una programmazione degli investimenti di medio-lungo periodo. E qui riaffiora il legame con le ragioni relative allo stato di salute delle finanze pubbliche: investimenti virtuosi producono crescita e, di conseguenza, riducono il peso del debito. Sono considerazioni che valgono anche per il secondo dei due elementi a cui accennavo poco fa: la spesa pubblica. Il rispetto della traiettoria di riferimento ne implica un controllo scrupoloso.
La dimensione del bacino su cui agire è ampia, oltre i mille miliardi. Gli spazi non sono infiniti: non per questo, però, bisogna rinunciare a priori ad aggredire quelle sacche, e non sono poche, in cui la spesa ristagna, configurandosi quindi come improduttiva. Non c’è bisogno di agire con l’accetta. Il contenimento della spesa sarebbe indubbiamente più facile se perseguito con tagli orizzontali, ma così facendo ci troveremmo nella paradossale situazione per cui si potrebbe dire che l’intervento è perfettamente riuscito, ma il paziente è morto. Soprattutto non sarebbe questo lo spirito giusto per un Piano che, al contrario, deve ambire a rafforzare la crescita economica e la coesione sociale, garantendo al contempo tassi di aumento della spesa sostenibili per le finanze pubbliche. Un Piano vivo, come sono vive le ragioni che muovono la programmazione del futuro del Paese. Solo se riusciremo a fare di questo Piano il piano di ogni cittadino potremmo dire di aver dato senso e direzione alla sfida che abbiamo di fronte. Solo così potremo evitare, tra qualche anno, di voltarci indietro e prendere atto, sconsolati, dell’impossibilità di correggere il tiro. Possiamo, invece, guardare avanti. Costruire. Oggi.
Federico Freni è sottosegretario al ministero dell'Economia