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L'analisi

Le balle da smontare quando si parla di inflazione generata dai profitti

Guido Ascari e Riccardo Trezzi

La greedflation non è mai avvenuta. Gli utili delle aziende sono cresciuti, ma i salari stanno recuperando potere d'acquisto, anche se su questo c'è da lavorare 

Dal 2021 ad oggi si sono date spiegazioni errate sulle cause dell’inflazione e sulle dinamiche monetarie e fiscali. Solo per ricordare le principali, nel dibattito pubblico si è a più riprese argomentato che le banche centrali non dovessero alzare i tassi perché l’inflazione era “tutta da offerta” (concetto mai definito tanto quanto errato), che gli stimoli fiscali non avessero giocato alcun ruolo e che l’inflazione fosse “da profitti”. In questo intervento presentiamo l’evidenza di due studi recenti, e rimarchiamo la corretta narrazione dei fatti. Un nuovo studio a firma Alberto Cavallo (Università di Harvard) e coautori ha analizzato le strategie di prezzo lungo la catena di fornitura dei beni. Utilizzando un dataset ideale, lo studio dimostra che i margini di profitto aziendali sono rimasti costanti durante lo shock Covid. Detto in parole semplici, lo studio mostra che se un’impresa applicava il 10% di margine sopra i propri costi, quell’azienda ha continuato ad applicare lo stesso 10%, sebbene i costi fossero aumentati. Per onestà intellettuale, una ricerca della Banca d’Italia a cura di Fabrizio Colonna, Roberto Torrini ed Eliana Viviano giungeva agli stessi risultati già nel 2023.

Queste evidenze smentiscono la bizzarra ipotesi della “greedflation”, secondo cui l’alta inflazione era causata dalla ingordigia delle imprese che avevano aumentato i prezzi più che proporzionalmente rispetto ai costi. Ebbene, la “greedflation” non è mai avvenuta, sebbene questa visione abbia trovato ammiratori estasiati fra gli opposti estremismi politici di mezzo mondo. Non solo ma la decomposizione del deflatore del PIL suggerisce che il contributo dei profitti è inizialmente aumentato ma da diversi trimestri è in netta diminuzione a favore dei salari. Questa dinamica (da elementare libro di testo) significa semplicemente che i prezzi sono più flessibili dei salari, si muovono prima, e che i salari stanno recuperando potere d’acquisto col tempo (e in Italia in particolare c’è ancora molto da recuperare).

Un secondo importante studio a firma Domenico Giannone (Università di Washington) e Giorgio Primiceri (Università di Northwestern) ha mostrato che le dinamiche dell’inflazione nella zona euro non sono state dissimili da quelle degli Stati Uniti. Ovvero, in entrambe i continenti, circa la metà dell’inflazione di fondo è attribuibile a fattori di domanda. Con un pizzico d’orgoglio, possiamo dire che questi risultati confermano quelli di un nostro lavoro nato sul finire del 2022.

La corretta narrazione di quanto accaduto dal 2021 in poi, sia in Europa che negli Stati Uniti, rimane quella che non ci stanchiamo di ripetere da anni. Il Covid ha generato uno shock negativo. L’economia è però rimbalzata (anche oltre le attese) sorretta dalla ripresa della domanda globale e da interventi pubblici, monetari e fiscali. La generosità di tali stimoli ha finito per diventare causa della persistenza del processo inflativo.

Con questo non vogliamo criticare quanto fatto per salvare i posti di lavoro: stabilizzare l’output durante le crisi è cruciale per evitare che le conseguenze negative si protraggano per anni (vedasi 2008-2014). Non solo ma è più semplice giudicare un intervento ex-post che pianificarlo in tempo reale. Fare politica economica rimane esercizio molto difficile. Detto questo, la performance del mercato del lavoro in Italia ed altrove (ricordiamo che abbiamo oggi il record assoluto di occupati) sono a testimoniare che gli errori del passato non sono stati ripetuti questa volta. Piuttosto siamo a ribadire che le dinamiche dei prezzi testimoniano che la domanda è rimasta accomodante ed ha supportato prezzi elevati.

Ricostruire la narrazione degli ultimi anni in modo corretto è cruciale per il futuro. Gli ultimi dati ci dicono che nell’eurozona l’inflazione dei servizi, ovvero “il trend” dei prezzi, rimane non solo persistente ma addirittura più alta che nel 2023 (e 2022), circostanza totalmente trascurata nel dibattito. Questa dinamica è in parte dovuta al recupero dei salari in quanto la produzione di servizi è ad alto contenuto di capitale umano ma in parte genera un punto interrogativo sulla persistenza della crescita dei prezzi. Dopo anni di spiegazioni errate sulle cause dell’inflazione, se si vuole finalmente aiutare la banca centrale a raggiungere i propri obiettivi, è arrivato il momento di concordare sulle cause e prendere le corrette decisioni, a partire dal lato fiscale.

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