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Scenari

Roma, non Milano. Mappa per capire chi comanda in Confindustria

Nunzia Penelope

Il nuovo presidente Emanuele Orsini ha messo da parte Assolombarda e ha spostato l'asse delle imprese italiane dal nord al centro, tra la via Emilia e Roma est

La geopolitica della Confindustria targata Emanuele Orsini, che oggi terrà la prima relazione davanti all’assemblea pubblica, segue un percorso che parte dalla Via Emilia, attraversa Veneto e Friuli e arriva a Roma. A Roma Est, per la precisione. Su questa latitudine si muovono le figure che nel nuovo governo di Viale dell’Astronomia avranno in mano le leve principali. Ed è una latitudine che, caso unico in un secolo di storia, non comprende il triangolo industriale Torino-Milano-Genova. Soprattutto, è rimasta fuori dai giochi la potente Assolombarda, che in passato ha sempre espresso un ruolo di king maker, e che questa volta ha invece dovuto cedere il passo all’asse emiliano-romano. Laddove per ‘’romano’’ si intende l’Unindustria di Roma, nata nel 2008 dalla fusione di cinque territoriali provinciali del Lazio, con sede in Via Noale, alla periferia Est della Capitale.

Basta scorrere la lista dei nuovi vertici confindustriali per constatarlo. È emiliano il presidente, Emanuele Orsini, e lo è anche il vicepresidente che ha l’importantissima delega per le relazioni industriali: Maurizio Marchesini, bolognese, ex presidente di Confindustria Emilia Romagna, presidente di Nomisma, patron di una azienda di packaging da duemila dipendenti, molto stimato dai sindacati. Emiliana è Annalisa Sassi, parmense, imprenditrice del settore alimentare, attuale presidente di Confindustria Emilia Romagna: nel nuovo board, Orsini l’ha voluta a capo del Consiglio delle Rappresentanze regionali. E di Parma è Giovanni Baroni, presidente della Piccola industria e vice presidente nella squadra confindustriale. Ma poi, soprattutto, ci sono i romani. Romani per nascita o per “diritto di cittadinanza” acquisito nei decenni trascorsi nella Capitale, sono tanti e arrivano tutti dal vivaio di Unindustria (e anche da quello della Luiss). C’è Maurizio Tarquini, direttore generale: romano di Centocelle, casa al Pigneto, laurea in statistica alla Sapienza e dottorato in analisi matematica, è un confindustriale di lungo corso, è stato dg di Unindustria per sedici anni. Altro romano doc è Angelo Camilli, presidente di Unindustria (in uscita: lo sostituirà a breve Giuseppe Biazzo, fondatore di Orienta, gruppo leader nella ricerca del personale) a cui Orsini ha ceduto la delega per fisco e finanza. Sempre da qui arrivano alcuni “consiglieri speciali”. Alberto Tripi, patron di Almaviva nonché vicepresidente di Unindustria, sarà special advisor per l’Intelligenza Artificiale, mentre Aurelio Regina, che di Unindustria è stato il primo presidente, ha ottenuto la conferma della delega per l’energia: cruciale nel momento in cui si decidono le sorti di quella transizione che non piace affatto agli imprenditori (e che peraltro, va detto, nutrono  dubbi anche per gli effetti dell’autonomia differenziata: su questo tema discuterà il Consiglio generale già convocato per il 27 settembre).

Nella nuova squadra di presidenza ci sono, naturalmente, anche altre rappresentanze regionali. C’è Stefan Pan, da Bolzano, e c’è la napoletana Barbara Cimmino, titolare del marchio Yamamai. La Toscana è rappresentata dalla vicepresidente responsabile del Centro Studi, Lucia Aleotti, storica e importante famiglia fiorentina della farmaceutica. E ancora, ci sono il milanese De Santis, il bresciano Nocivelli, il cosentino Mazzuca, il siciliano di origine, ma veneziano di adozione, Marinese, la novarese Lara Ponti, produttrice del più famoso aceto nazionale. Nord e sud, est e ovest, nei nuovi vertici sono insomma tutti rappresentati, ma sono sparsi e non fanno ‘’massa’’. L’asse del potere, invece, è già ben definito, ed è altrove: tra la Via Emilia e Roma Est, il nuovo corso di Confindustria partirà da li. Una discreta rivoluzione che potrebbe contribuire, tra l’altro, a riaccendere i riflettori sulla vocazione industriale del Lazio: regione che produce, comunque, l’11% del Pil nazionale.

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