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L'analisi

Oltre i numeri. Perché la Germania ha così paura delle mosse di Unicredit

Mariarosaria Marchesano

L'ad Andrea Orcel ha deciso di salire al 21 per cento di Commerzbank e il cancelliere Olaf Scholz teme che da questo possa nascere una grande banca paneuropea controllata dall'Italia

“Non chiederemo posti nel cda di Commerzbank”. Andrea Orcel, ad di Unicredit, non poteva apparire più “amichevole” di così al summit dei ceo che si è svolto ieri a Londra, dove ha approfittato dell’occasione per annunciare che quest’anno la banca di Gae Aulenti realizzerà oltre 9 miliardi di profitti (oltre il record del 2023). Sapendo di trovarsi nell’insolita posizione di banchiere che ha provocato il richiamo alle regole del mercato unico da parte della Commissione presieduta da Ursula von der Leyen nei confronti del governo di Olaf Scholz, Orcel ha sfornato tutto il fair play di cui è capace per inviare un messaggio conciliante alla Germania. “Siamo un investitore e di solito non credo che gli investitori abbiano un posto nel consiglio di amministrazione”.

È stato il modo che Orcel ha trovato per dire “veniamo in pace” e per far capire che la fusione tra Unicredit e Commerzbank non è obbligatoria, che ci sono altre strade percorribili, compresa quella di uscire dalla banca tedesca (con una plusvalenza che agli attuali prezzi di mercato sarebbe non meno di 2-300 milioni). Insomma, un discorso tutto volto a smussare i toni con il governo di Berlino, da dove nel pomeriggio è arrivata una replica altrettanto conciliante nella forma ma gelida nella sostanza che si può sintetizzare così: Unicredit ha tutto il diritto di acquistare azioni di Commerzbank ma la Repubblica federale tedesca, come azionista, ha il diritto di essere contraria. A questo punto la situazione rischia di entrare in una fase di stallo se dai nuovi vertici di Commerzbank (ieri il Consiglio di sorveglianza ha nominato nuovo amministratore delegato la cfo Bettina Orlopp ) non arriva un’apertura. Ma attenzione, perché una novità importante c’è.

Mentre Orcel parlava a Londra, Deutsche Bank, la prima banca tedesca da cui ci si attendeva una contromossa difensiva su Commerzbank, ha dichiarato non solo di non essere interessata alla partita, ma di non sentirsi pronta a operazioni di consolidamento. Il che è esattamente quanto alcuni analisti avevano previsto sarebbe accaduto quando Orcel ha deciso di salire al 21 per cento. La mossa, infatti, ha consentito a Unicredit di assumere una posizione di forza nelle interlocuzioni con le controparti escludendo di fatto che altre banche potessero intromettersi. La ritirata di Deutsche Bank dovrebbe, dunque, spianare la strada ai piani di Unicredit. Ma non è così semplice. È evidente che l’iniziativa italiana nei confronti di Commerzbank viene vissuta quantomeno con disagio nel paese, nonostante Unicredit vanti una posizione competitiva e solida sul mercato europeo.

Ciò che non si comprende è da cosa dipenda tale disagio, se non ostilità, emerso fin dal primo momento in alcuni ambienti, soprattutto sindacali e politici. Leggendo le dichiarazioni dei primi alla stampa, a Unicredit viene rimproverato di essere troppo esposta al debito dell’Italia, paese a cui la Germania ha sempre rimproverato scarso rigore nei conti pubblici. Ma la quantità di Btp posseduta da Unicredit si è molto ridotta negli ultimi anni e oggi è pari a 39 miliardi, su un totale di 131 miliardi investiti in titoli di stato. La percentuale, dunque, è inferiore al 30 per cento e la durata media è di quattro anni, cosa che di fatto mantiene l’esposizione al rischio di credito limitata. Per fare un confronto, Commerzbank, secondo dati dell’Eba, ha in pancia 7 miliardi di Btp su un totale di 47 miliardi, che rappresentano il 16 per cento di esposizione della tedesca nei confronti dell’Italia, mercato in cui non opera. E Deutsche Bank, sempre dai dati Eba, ha un portafoglio di 55,3 miliardi di obbligazioni sovrane di cui 10,3 miliardi sono rappresentati da Btp, con un’esposizione del 10 per cento, non elevata ma rilevante per essere nei confronti di un paese che presenta il massimo differenziale di rendimento con i bund tedeschi.

Insomma, i dati smentiscono qualsiasi possibilità che Unicredit possa riflettersi qualche forma di debolezza strutturale che riguarda l’Italia, il cui pil, comunque, sta crescendo più di quello della Germania. E così l’unica spiegazione possibile della posizione di Berlino resta quello di evitare che avvenga una fusione che farebbe sì nascere una grande banca panaeuropea, ipotesi che piace a Bruxelles, ma anche il più grande istituto in Germania il cui controllo è nelle mani dell'Italia, vista con le lenti del pregiudizio. Motivo in più per spingere la premier Giorgia Meloni a prendere le distanze dichiarando che Unicredit-Commerzbank “è una questione che non riguarda il governo”.

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