l'intervista
Zoppas ci spiega perché il protezionismo fa male all'Italia
Le esportazioni che vanno, l’industria che soffre, il rischio da dazi da evitare a tutti i costi. Parla il capo dell’Ice, l’agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane
Le imprese italiane hanno corso a più non posso dopo la pandemia e hanno esportato come non mai. Hanno sfidato l’onda protezionistica, hanno raggiunto mercati che finora erano stati marginali. Con 678 miliardi di dollari pari al 2,8% del commercio mondiale l’Italia è al sesto posto, dopo Cina, Stati Uniti, Germania, Paesi Bassi, Giappone e prima della Francia e della Corea del sud. L’aumento rispetto al 2019 è stato del 26% (oltre 30% in euro) scrive l’ultimo rapporto dell’Agenzia ICE, l’agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, ma è importante notare che l’Italia ha continuato a crescere del 2,8% nel 2023 rispetto all’anno precedente, mentre i primi quindici esportatori mondiali hanno fatto registrare nel loro insieme una riduzione del 2,9%. Le aziende manifatturiere italiane hanno nuotato contro corrente e hanno dato un contributo fondamentale alla ripresa economica del paese. Non è stato davvero facile e quest’anno lo sarà ancor meno, ma si può contare sulla capacità di tenuta dell’industria italiana. Matteo Zoppas, presidente dell’ICE, non nasconde le difficoltà, eppure resta prudentemente ottimista. L’ultimo dato, quello di luglio, mostra un più 6.8%. Ci sono segnali negativi come nell’intera filiera dell’auto, nel tessile e nella moda, altri settori come l’agro-alimentare vanno molto meglio, nel 2023 hanno esportato per 64 miliardi e “l’obiettivo dei cento miliardi si può intravedere all’orizzonte”, spiega Zoppas al Foglio. Per raggiungerlo c’è bisogno di un lavoro complesso, un supporto e una spinta da parte dell’intero sistema paese. “Il nostro compito – aggiunge il presidente – è stare vicino alle imprese, accompagnarle passo dopo passo, spargere semi e, goccia dopo goccia, aumentare le occasioni, gli scambi di informazioni, di conoscenze e di affari”. Questa strategia che Zoppas chiama “della goccia cinese” è fondamentale per chi subisce di più la sfida competitiva, ma vale in generale.
L’innalzamento delle barriere protettive, tariffarie e non tariffarie non può non preoccupare l’Italia, è una tendenza che va avanti da molti anni e si acuisce sempre più. Erano 380 nel 2011 oggi sono già arrivate a 2.800. Ad esse si aggiungono quelle ufficiose, come ad esempio i tempi per sdoganare le merci e per ottenere la certificazione, siamo arrivati fino a sette anni, in molti casi le merci giacciono e marciscono, quando ottengono il via libera spesso sono già scadute. Siamo in una fase di deglobalizzazione, in molti casi risponde alla necessità di ridurre i rischi sia economici sia geopolitici (e questi ultimi oggi tendono a diventare prevalenti). Tuttavia il vero pericolo è che il libero scambio finisca nei cassetti del passato. Secondo l’ICE, la spinta ad accorciare le catene globali puntando su aree geografiche “sicure e amiche” proviene più dai governi che dalle stesse imprese. In ogni caso lo scenario del commercio estero è cambiato.
Il 2024 è segnato da alcune emergenze economiche: la crisi in Germania pesa in modo preponderante visto che il paese rappresenta il principale mercato e la manifattura italiana è fortemente integrata con quella tedesca. C’è poi una incognita politica che riguarda le elezioni americane: “Molte imprese si collocano in posizione di attesa, vogliono capire chi vincerà e quale politica commerciale verrà seguita”, sottolinea Zoppas per il quale questo sarà un anno di “oscillazioni multiple”. Non si può parlare di discesa dell’export, ma piuttosto di filiere e aziende colpite mentre altre continuano a crescere. Per fare un esempio la chimica va bene, la ceramica meno; la meccanica resta il settore numero uno sul quale, però, inciderà molto la congiuntura estera. Un particolare sforzo l’ICE lo dedica a settori innovativi in forte espansione come l’aerospaziale dove l’Italia ha molte carte da giocare, siamo il quarto paese in Europa, dopo Francia e Germania con 7,5 miliardi di euro da esportazioni.
Strumento fondamentale è la fiera nella quale si incontrano e si confrontano domanda e offerta. E’ un luogo antico nel “gioco degli scambi”, c’è stata una fase nella quale si considerava superato grazie all’e.commerce, ma poi si è fatto retromarcia. Quando parliamo, Zoppas è appena rientrato da Padova, dalla inaugurazione di Flormart, il salone internazionale della floricoltura. Le fiere, in particolare le collettive organizzate da ICE all’estero, sono fondamentali per aprire nuovi mercati, ma anche per consolidare i mercati più tradizionali. Il successo ininterrotto delle fiere italiane, dal Salone del mobile alla Fashion Week, da Cibus al Vinitaly, è una ulteriore dimostrazione dell’importanza di questi eventi. Il presidente Zoppas sottolinea che talvolta nemmeno l’imprenditore importante che va ad esporre alla fiere in Italia è a conoscenza che la maggior parte dei potenziali compratori esteri sono stati portati dall’ICE. Non si tratta di contrapporre l’antica stretta di mano alle nuove tecnologie, al contrario vecchio e nuovo si integrano, le piattaforme informatiche sono strumenti fondamentali, ma non possono essere né gli unici né gli esclusivi. Guardando alla storia, sono state le fiere ad aprire il passaggio dall’economia chiusa dell’era feudale al mondo nuovo. E nessun protezionismo ha potuto fermarle.