Circoli viziosi e virtuosi
La vischiosità del costo del lavoro ha aiutato le imprese a resistere. Ma ora? Indagine
Come si spiega l’exploit delle aziende in un anno di difficoltà industriali? I profitti sono aumentati, la busta paga dei dipendenti ha subito un deprezzamento e grazie a questo andamento le scelte restrittive di politica monetaria sono state assorbite. Mentre le multinazionali pagano meglio e più tasse delle italiane. Un rapporto da studiare
Sarà per il titolo scelto tradizionalmente all’insegna dell’understatement (“Dati cumulativi”), ma è passato sotto gamba il rapporto rilasciato giovedì dall’Area Studi Mediobanca su 1.900 società italiane che rappresentano quasi il 50 per cento del nostro manifatturiero. Eppure conteneva delle pepite. Spiegate anche da un post del direttore Gabriele Barbaresco, che a rinforzo cita ampiamente l’ultima relazione della Banca d’Italia. Tema: la straordinaria redditività delle imprese italiane nel 2023. Via Nazionale dice che il margine operativo lordo ha raggiunto il valore più elevato da oltre vent’anni in rapporto all’attivo (8 per cento). E Barbaresco chiosa che “è curioso un record di redditività in coda ad anni segnati da alta inflazione, tensione nelle grandi catene del valore, frizioni nel commercio internazionale e asprezze geopolitiche”.
E’ sicuramente singolare ma Mediobanca lo conferma ampiamente: le imprese italiane nel 2023 hanno segnato un ebit margin del 6,6 per cento, miglior livello dal 2008, e ciò è accaduto a fronte di una flessione del 6,8 per cento delle vendite nominali, penalizzate soprattutto dai comparti energivori, dai produttori di energia e dai raffinatori. Vale la pena aggiungere che vanno nella stessa direzione non solo l’ebit margin ma anche tutti gli altri indicatori economici di redditività (Roi, Roe e utili) dei maggiori aggregati e settori.
Ma come si spiega il curioso exploit in un anno che passerà agli annali come difficile e controverso? Semplice. Le imprese hanno beneficiato – risponde l’Area Studi Mediobanca – della vischiosità del costo del lavoro che in termini pro capite ha ceduto nel biennio 21-23 il 7,6 per cento del proprio valore reale. Un’affermazione secca anche perché in alcuni settori industriali come l’alimentare, il cartario e il chimico la perdita di potere d’acquisto è stata ancora più ampia. Ma le considerazioni spietate degli analisti di Piazzetta Cuccia non si fermano qui. Il beneficio ottenuto grazie al contenuto costo del lavoro “ha consentito di assorbire il maggior costo del denaro, raddoppiato nel 2023, permettendo a Roi e Roe di toccare i massimi decennali”. Morale: i profitti sono aumentati, la busta paga dei dipendenti ha subito un deprezzamento e grazie a questo andamento le scelte restrittive di politica monetaria sono state assorbite. Un circolo virtuoso per le imprese, vizioso per i lavoratori. E sicuramente dannoso a livello di sistema per gli squilibri che ha generato.
La successiva curiosità, per usare sempre lo stesso eufemismo, riguarda gli investimenti. La maggiore profittabilità li ha fatti crescere? Allora, a prezzi costanti gli investimenti materiali sono cresciuti del 4,3 per cento rispetto al 2022 ma ciò è avvenuto grazie al comparto pubblico (+19,5 per cento), perché scrive Barbaresco nel suo post, c’è stata “la spinta del green deal, sia nella generazione (vedi fotovoltaico) che nella distribuzione ovvero revamping delle reti e loro digitalizzazione, in ottica di decarbonizzazione”. Infatti se andiamo a considerare i soli investimenti privati, il 2023 troviamo un risultato negativo: - 3,1 per cento. Dovuto però a una riluttanza a investire più radicata nei servizi (-6,3 per cento) che nel manifatturiero.
L’altra pepita che il rapporto dell’Area Studi Mediobanca ci regala riguarda le multinazionali per la prima volta analizzate con una certa profondità all’interno dei “Dati cumulativi”. In primis va detto che sono tante: un terzo sia del campione sia dell’universo industriale operano prevalentemente nei comparti ad alta tecnologia. Ma la stessa proporzione vale anche per i settori di tradizionale specializzazione del made in Italy. Il dato interessante è che retribuiscono meglio i loro dipendenti rispetto alle aziende a controllo italiano: un lavoratore di una multinazionale in media guadagna 77 mila euro contro i 64 mila di un “nazionale”. Molto si potrà spiegare con la differente dimensione media, probabilmente anche con la diffusione della contrattazione di secondo livello, e quindi sarebbe interessante capire se, a chiudere il cerchio, si registra anche una maggiore produttività (ma nello studio Mediobanca quest’aspetto manca). Ad accrescere le virtù delle multinazionali c’è anche un altro dato: pagano più tasse delle italiane, nella media degli anni 2019-2023 il tax rate delle prime è 23,2 contro il 20,6 delle imprese a controllo nazionale.
Messe da parte le pepite la domanda spontanea è se dobbiamo prevedere per il 2024 un replay del singolare exploit di profitti. Gli ultimi dati di ieri di fonte Istat ci parlano di una fatturato a luglio in discesa su base tendenziale sia in valore (4,7 per cento) sia in volumi (3,9 per cento) e comunque l’anno in corso si presenta più complicato del suo predecessore. I fattori di incertezza sono tutti aumentati di peso e la parola d’ordine degli imprenditori è “prudenza” ma se poi pensiamo al tracollo di interi settori come l’automotive o l’abbigliamento è evidente che il cielo delle previsioni non possa che tingersi di nero. Si dirà anche che nel 2024 comunque i salari hanno ripreso a salire, seppur con molta gradazione, ma gli stessi analisti di Mediobanca mettono in guardia dal trarre conclusioni affrettate. Bisognerà vedere la media finale dell’incremento delle paghe, in quali settori ci sono effettivamente prodotte, quali platee hanno interessato e come si sono combinate a livello di sistema.