L'Italia soffre meno
Le sofferenze bancarie (Npe) si riducono in Italia e aumentano in Germania e Francia
Dal 2015 in poi gli istituti di credito hanno fatto pulizia nei bilanci e nel complesso il sistema è stato risanato. Il nostro paese va in controtendenza rispetto alle concorrenti europee
C’è stato un tempo, neanche tanto lontano, in cui l’Italia era la pecora nera in Europa dei crediti bancari problematici. Nel 2015, infatti, erano una montagna di quasi 340 miliardi. A distanza di neanche dieci anni non solo si sono ridotti a 41 miliardi, ma stanno continuando a scendere, mentre in Francia e Germania sono in aumento. Secondo il rapporto presentato ieri a Cernobbio da Banca Ifis, presieduta da Ernesto Fustenberg Fasso, lo stock di posizioni bancarie deteriorate (Npe) ha subito in Europa un incremento di 16 miliardi tra i primi mesi del 2023 a giugno 2024, passando da 357 a 373 miliardi, a causa soprattutto degli istituti francesi e tedeschi mentre in Italia registra un calo di 5,1 miliardi.
Insomma, quanto a qualità del credito, le banche italiane viaggiano in controtendenza rispetto alle concorrenti europee. Un fenomeno che fa una certa impressione se si considera che l’iniziativa di Unicredit nei confronti di Commerzbank sta incontrando un muro di diffidenza in Germania al punto da spingere il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, a ricordare che “è indispensabile avere dei campioni europei” per confrontarsi con “altri campioni di altre parti del mondo”. Si vedrà come andrà a finire la delicata partita su cui pesano fattori di diversa natura (ieri sono cominciati i colloqui tra le due banche), ma una cosa è certa: allo stato attuale, se ci fosse un’operazione di fusione tra Unicredit e Commerzbank, di sicuro quest’ultima non subirebbe un peggioramento della qualità degli attivi per colpa della prima.
E’ la Germania, in questa fase storica, a mostrare il maggiore incremento di Npe in Europa (anche più della Francia) tendenza che, probabilmente, rispecchia l’indebolimento della sua economia. Al contrario, l’Italia sta raccogliendo i frutti del “lavoro eccellente che hanno fatto le banche e gli operatori dell’industria dei crediti deteriorati”, ha spiegato l’amministratore delegato di Banca Ifis, Frederik Geertman. In effetti, dal 2015 in poi, dietro la spinta della vigilanza, gli istituti di credito hanno fatto pulizia nei bilanci, attraversando anche momenti delicati, durante i quali diverse realtà sono uscite di scena mentre altre hanno avviato dolorosi processi di ristrutturazione e con iniezioni di capitali, ma nel complesso il sistema è stato risanato. Questo processo è stato coadiuvato dallo sviluppo di un mercato privato dei crediti deteriorati, che in Italia ha attratto investitori da tutto il mondo. L’ effetto è stato di alleggerire le banche dalle “sofferenze” e di liberare risorse per finanziare l’economia.
I progressi fatti dall’Italia in questo campo si vedono non solo dalla forte riduzione dello stock di crediti deteriorati – in termini assoluti ha raggiunto quello della Germania, intorno ai 40 miliardi, ed è pari a un terzo di quello della Francia (120 miliardi) – ma dal fatto che le banche del paese hanno azzerato il gap esistente con la media dell’Unione europea quanto a tasso di rischiosità del credito (questo è passato dall’11,5 per cento di fine 2023 al 9,4 per cento di giugno 2024, in linea con il resto d’Europa). Come spiega il centro studi di Banca Ifis, il percorso di derisking intrapreso dal sistema bancario è stato accompagnato anche da politiche pubbliche di sostegno alle imprese (questo è avvenuto soprattutto durante il periodo della pandemia). A ogni modo, dal 2015 al 2024 lo stock di Npe delle banche italiane dovrebbe far segnare una riduzione complessiva di 290 miliardi, grazie alle massicce cessioni che ci sono state il cui ritmo, ovviamente, negli ultimi tempi è calato senza, però, impattare negativamente sull’industria del settore che può contare su un vivace mercato secondario.
Ma quali sono le prospettive? I crediti problematici delle banche sono legati soprattutto all’andamento dei tassi d’interesse e alla congiuntura economica. Se l’aspettativa di un allentamento della politica monetaria da parte della Bce fa sperare in un consolidamento della riduzione dello stock che si è visto in Italia, in prospettiva qualche rischio si intravede a causa del deterioramento di alcuni comparti industriali come quello del settore auto, che, però, non dovrebbe compromettere i risultati raggiunti. L’analisi di Banca Ifis spiega che storicamente esiste un nesso tra aumento della disoccupazione e incremento di crediti cattivi. Ma ovviamente vale anche il contrario, il che aiuta a comprendere perché l’Italia delle banche oggi sta migliorando la sua qualità del credito.