Per un Agri Deal. Parla Giansanti, nuovo presidente degli agricoltori europei

Luciano Capone

“Von der Leyen rimetta l’agricoltura al centro della politica economica dell’Unione europea. Basta con il Green dream, riformiamo la Pac pensando alla produzione”. Intervista al capo di Confagricoltura, primo presidente italiano del Copa dopo 30 anni

L’elezione era annunciata, ma non scontata. Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, è stato eletto presidente del Copa – il Comitato che a Bruxelles riunisce 60 organizzazioni agricole che rappresentano 22 milioni di agricoltori in Europa – a larghissima maggioranza, dopo un confronto con un candidato della Polonia. È la vittoria della visione del blocco occidentale contro quello orientale. Ma, soprattutto, è una vittoria italiana. Per la prima volta dopo 30 anni, un italiano torna  al vertice del Copa (l’ultimo era stato Augusto Bocchini, sempre di Confagricoltura, nel 1993-95). 

“È un grande risultato per tutta l’agricoltura italiana e per l’Italia in generale – dice Giansanti al Foglio – per me è un grande privilegio, oltre che una grande responsabilità”. La sua candidatura, molto sostenuta nel resto d’Europa, ha avuto i suoi più strenui oppositori proprio in Italia, in una guerra sferrata dalla concorrente Coldiretti e poi rientrata dopo la mediazione del ministro Lollobrigida. Ma Giansanti dribbla le polemiche. “Il rischio non era tanto una divisione in Italia, ma la scelta tra due visioni rappresentate da due programmi di mandato, da un lato il modello agricolo dell’area occidentale e dall’altro un modello che ha il centro nell’area orientale. Io mi sarei candidato anche da solo per portare avanti questo modello. L’importante è che dopo 30 anni siamo tornati come italiani, d’altronde l’Italia è il secondo/terzo paese produttore in Europa e il primo per valore aggiunto. Dobbiamo rappresentare questo valore con orgoglio e responsabilità, in una fase che è piena di incognite”.

Il meccanismo elettorale prevedeva un quorum del 75% al primo turno, che non è stato raggiunto per un voto. Dopodiché il candidato polacco, vista l’ampia disparità dei consensi, ha ritirato la candidatura lasciando che Giansanti venisse eletto per acclamazione. “Oggi la nostra forza è proprio nella diversità: 27 stati membri, 60 associazioni, 22 milioni di agricoltori. L’importante è unire tutte queste forze in un progetto comune a protezione dell’agricoltura. L’occasione è importante, perché l’agricoltura è tornata ad avere un ruolo strategico, almeno ascoltando le parole della presidente Ursula von der Leyen”. 

È un po’ paradossale. Von der Leyen è stata presidente della Commissione europea insieme con il commissario Timmermans, che ha portato avanti il Green deal e la strategia Farm to Fork, che ha messo l’agricoltura e la zootecnia sul banco degli imputati per l’inquinamento e le emissioni di CO2, imponendo obiettivi ritenuti proibitivi per gli agricoltori: dimezzare l’uso dei pesticidi, abbattere l’uso di fertilizzanti, ridurre in generale gli input chimici e mettere a riposo i terreni... Gran parte di queste imposizioni si sono fermate solo dopo le proteste degli agricoltori, prima delle elezioni europee. Ora è la nuova Commissione, ma con la stessa presidente, che dovrebbe avere un approccio completamente diverso? “Ce lo dovranno dimostrare. Non firmeremo cambiali in bianco a nessuno – dice Giansanti –. Le promesse fatte in campagna elettorale, soprattutto dal parte del Ppe, saranno misurate sul campo. Il green dream, questo sogno verde che è stato venduto negli anni passati, lo rimandiamo indietro”. 

Che vuol dire? “Gli agricoltori devono essere i protagonisti nella transizione sia ecologica sia sociale. Siamo noi i veri custodi sia dell’ambiente sia delle aree interne dell’Europa. È inaccettabile, nonostante quello che dicono alcune ong, che solo lo 0,33% del pil europeo sia destinato all’agricoltura”. Volete più sussidi? “Dobbiamo cambiare completamente approccio. Bisogna capire come ritornare a una politica agricola che incentivi il settore a produrre, il contrario di quello che si è tentato di fare finora con incentivi a non produrre. Nessuno di noi vuole rendite o un Reddito di contadinanza. Vogliamo produrre con standard sempre più alti e garantire la sicurezza alimentare e gli approvvigionamenti per l’Europa, due questioni che hanno una centralità strategica”.

Il mondo si sta dividendo in blocchi. “Allarghiamo lo sguardo al ruolo che hanno Stati Uniti, Cina e Sud America. Ora è in corso il G7 e il peso dell’agricoltura  in questi paesi è forte, ma i Brics producono più di noi. Se l’Europa non acquisisce in questo settore una sua autonomia e centralità rischia di rimanere schiacciata dagli altri blocchi”.

Uno degli obiettivi principali del suo mandato dovrebbe essere la riforma della Politica agricola comune (Pac), ma secondo quali direttrici? “La Pac deve semplicemente tornare a perseguire gli obiettivi che i padri fondatori avevano indicato nei trattati istitutivi dell’Europa: un giusto reddito per i produttori e un giusto prezzo per i consumatori, oltre alla sicurezza degli approvvigionamenti. Insomma, deve tornare a essere una politica economica”. E non è stato così? “Dal Duemila in avanti la Pac è diventata prevalentemente una politica ambientale, perdendo così la  natura di politica economica. Ha perso completamente di vista sia la il ruolo degli agricoltori sia quello della produzione”.

Tra le sue linee programmatiche ci sono i temi della competitività delle imprese sui mercati globali e dei grandi trattati internazionali. Su questo gli agricoltori sembrano incoerenti. Nel senso che cercano l’export, ma vogliono protezione dall’import. Ci sono diversi accordi di libero scambio fatti dall’Europa che hanno funzionato bene, eppure hanno avuto molta opposizione. In discussione c’è l’accordo con il Mercosur (Sud America), che ha anche una valenza geopolitica importante per l’Europa, ma anche qui le resistenze sono fortissime. “In Europa ci sono diverse sensibilità: da un lato paesi fortemente esportatori come l’Olanda e dall’altro fortemente conservatori. Ma gli accordi internazionali vanno valutati su basi ed evidenze numeriche. L’importante per noi è che al centro ci sia la non negoziabilità del valore dell’agricoltura  in cambio di altre sovvenzioni. Il Ceta con il Canada è stato un buon accordo, come quello con l’Australia. Le basi di quello con il Mercosur vanno negoziate meglio, per non mettere in difficoltà alcuni settori. Va certamente stimolata una visione proiettata all’export, se vogliamo conquistare spazi nel mercato globale. Ma come approccio sarebbe preferibile un ritorno al multilateralismo”.

L’agricoltura, che chiede protezione, può essere vittima del protezionismo. La Cina ha reagito ai dazi europei sulle auto elettriche con una ritorsione sui prodotti lattiero-caseari. “Una decisione contro i trattati internazionali. La Cina fa molto bene i suoi interessi, detiene il 50% delle scorte mondiali e fa  investimenti in Africa. Per questo dico che l’Europa deve trovare una sua centralità e autonomia, altrimenti nella guerra tra vasi di ferro, noi ci rompiamo".

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali