(foto Ansa)

dati impietosi

Le ruote sgonfie di Stellantis. Cala la produzione e il rischio ricade sui lavoratori

La Fim-Cisl denuncia un crollo della produzione del 30 per cento in tutti gli stabilimenti. Serve un cambio di approccio (anche da parte del governo)

Sarà anche “significativa”, come l’ha definita il ministro Adolfo Urso, l’audizione alla Camera del ceo di Stellantis, Carlo Tavares (prevista per l’11 ottobre), ma ciò che vorrebbero i sindacati è riprendere il confronto con il governo sulla crisi dell’azienda e del comparto auto che, secondo il report trimestrale della Fim-Cisl, potrebbe avere un impatto negativo su un numero enorme di lavoratori: 75 mila compreso l’indotto, di cui un terzo a rischio licenziamento. Secondo lo stesso report la produzione in Italia di Stellantis è calata nel terzo trimestre del 31,7 per cento colpendo tutti gli stabilimenti, incluso Pomigliano che nel trimestre precedente era l’unico che non perdeva rispetto al 2023. Insomma, una situazione davvero preoccupante se si considera che la crisi dell’automotive si sta diffondendo in tutta Europa, come dimostrano le chiusure di stabilimenti in Germania e Belgio. Proprio per questa ragione, spiega il segretario della Fim-Cisl, Ferdinando Uliano, bisognerebbe ragionare su come finanziare e rendere socialmente sostenibile la transizione energetica nel settore invece di limitarsi agli incentivi per l’acquisto di automobili, come fatto finora e senza peraltro ottenere alcun miglioramento.

A oggi la produzione di auto nei primi nove mesi dell’anno è scesa a circa 380 mila unità, con una prioiezione a fine anno inferiore a 500 mila unità, meno della metà dell’obiettivo di un milione fissato dal tavolo del Mimit che  il ministro Urso aveva avviato con le parti sociali e che a un certo punto si è interrotto anche a causa delle continue frizioni con i vertici del gruppo Stellantis. Quello che ci sarebbe da fare, dice Uliano, è mettere a disposizione risorse pubbliche vincolate a impegni di tenuta occupazionale e per la reindustrializzazione affrontando il tema anche con Bruxelles. Insomma, un cambio di approccio che dovrebbe impegnare il governo a cercare di scardinare il muro ideologico che sta guidando la transizione energetica in Europa, facendo leva sul fatto che la crisi riguarda tutta l’area. Non sarà facile.

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