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l'analisi

Perché la crisi di consumo della robotica è un colpo pericoloso per il made in Italy

Dario Di Vico

I costruttori rivedono al ribasso il mercato italiano dell’automazione di circa il 26 per cento rispetto al 2023, a quota 4,3 miliardi. Le previsioni mostrano una vulnerabilità del nostro paese ma le esportazioni restano ancora positive. C'entra il ritardo di Transizione 5.0, da cui ora si attendono miracoli

Alla fine anche Ucimu-Confindustria, l’associazione dei costruttori italiani di robotica, automazione e macchine utensili ha dovuto rivedere le previsioni al ribasso rispetto alle stime formulate nella prima parte dell’anno. E ammettere che il 2024 si presenta come un anno compromesso sul fronte del “consumo” di macchine e quindi di una parte cospicua degli investimenti dell’industria made in Italy. 

Così rispetto al 2023 – anno per altro salvato dall’export – il ribasso del mercato italiano dell’automazione è circa del 26 per cento a quota 4,3 miliardi, impattando sulle consegne dei produttori italiani di robot e beni strumentali che chiuderanno l’anno a quota -19,5 per cento. Come l’anno scorso fortunatamente le esportazioni rimangono in territorio positivo e cresceranno del 4,4 per cento. Ma se all’estero il prodotto italiano è ancora apprezzato e difende bene le sue quote di mercato, i guai sono in Italia e rimandano alla crisi degli investimenti privati. Nel 2024 le imprese italiane di tutti i settori hanno rinviato le scelte da fare per gestire le transizioni digitale ed energetica e ora non resta che aspettare che Santa transizione 5.0 faccia il miracolo.

L’obiezione dei confindustriali è che proprio il ritardo del provvedimento e la sua stesura (che ha preso sette estenuanti mesi) abbiano compromesso l’anno, abbiano in qualche modo motivato le aziende ad attendere per avere un quadro degli incentivi e dei criteri di assegnazione più chiaro e meno aleatorio. Chi ha mostrato il braccino corto ha dalla sua, quantomeno, un corposo alibi. Il fatto è che rispetto a Industria 4.0 il nuovo provvedimento si presenta più complesso perché legato non solo all’upgrading dei macchinari ma anche ai loro effetti sul risparmio energetico, circostanza che andrà certificata con cura. Transizione 5.0 però, oltre ad avere una buona dotazione di 6,3 miliardi, dà diritto a un credito d’imposta più generoso (45 per cento contro il 20 di Industria 4.0) ed è quindi legittimo che si guardi alla sua implementazione come un potenziale volano di nuovi investimenti. A una pagina nuova.

Ma sarà così? Secondo il neopresidente di Ucimu, Riccardo Rosa, “l’effetto non potrà essere così diffuso come quello del 4.0 perché prevede regole e iter completamente differenti, i tempi di utilizzo sono stretti e l’obiettivo del provvedimento è, in effetti, di premiare le aziende che sono pronte a lavorare sul risparmio energetico”.

Aggiungiamo che le certificazioni dovranno essere rigorose e i rendiconti, questa volta, dovranno essere presentati alla Ue perché Transizione 5.0 è finanziato dai fondi del Pnrr e non da fondi nazionali. Il timing, come accennava Rosa, è sfavorevole perché obbliga le aziende produttrici a consegnare al cliente-investitore le nuove macchine, a installare e a interconnetterle entro e non oltre il 31 dicembre 2025. Di conseguenza il periodo degli ordini è di fatto limitato tra ottobre 2024 e marzo 2025 e i costruttori potranno fare tutt’al più “due giri di commesse”, non di più.

Fatte queste doverose premesse è evidente che Transizione 5.0 muoverà il mercato e, se l’Ucimu ieri ha operato un ribasso delle stime 2024, per quanto riguarda il 2025 esibisce un numero assai sostanzioso e garantito da una previsione Oxford Economics. Che dà l’Italia in forte ripresa grazie a un significativo rimbalzo della domanda di investimenti di nuove tecnologie di produzione da parte degli utilizzatori made in Italy. Il numero in questione è +17,5 per cento, a cui dovrebbe far seguito un trend più contenuto nel 2026 (+4,2 per cento). Le stime di Oxford Economics da una parte ci confermano che il calo della domanda 2024 non è solo italiano (-6,4 per cento a livello mondo) e dall’altra però ci dicono che la ripresa prevista nel 2025 sia a livello globale sia in ambito europeo sarà vivace ma più contenuta di quella italiana. Tutto ciò sperando che la piena implementazione di Transizione 5.0 non sia solo un’occasione per arricchire i consulenti e che anche la Confindustria la consideri come una battaglia (interna) da ingaggiare per cambiare i comportamenti.

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