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Numeri

C'è un bicchiere mezzo vuoto dietro i dati sull'occupazione record

Alberto Brambilla e Claudio Negro

In Italia gli occupati aumentano, ma il contesto generale è più complicato: la bassa disoccupazione è dovuta al fatto che sempre meno persone cercano lavoro perché scoraggiate. E intanto nessuna economia sviluppata ha un tasso di inattivi così alto

Analizzando gli indicatori dell’Istat emerge che senza interventi efficaci sul “mismatch” il che implica una forte revisione della formazione professionale e una riduzione degli incentivi al “non lavoro” (Naspi, Isee, assistenze varie), il tetto occupazionale potrebbe essere presto raggiunto (anche ieri numeri da record per gli occupati in Italia). Se entriamo nel dettaglio dei dati vediamo però alcune contraddizioni che non sono occasionali ma strutturali e in relativa crescita: potenzialmente dei veri e propri bugs. Il primo dato evidente è che il numero degli occupati aumenta solo per la crescita dei lavoratori autonomi, mentre i dipendenti calano. In sé non è un indice di grave preoccupazione, ma si colloca in un contesto già complicato nel quale per tre mesi l’indice di fiducia delle imprese si colloca in terreno negativo; il PMI (che registra le previsioni di acquisti da parte dei manager) è sceso di due punti, l’indice della produzione industriale del II° trimestre è sceso di 1,6 punti soprattutto nel comparto manifatturiero.

Gli istituti di ricerca prevedono una stabilizzazione dell’economia dell’area Euro (l’IFO addirittura una stagnazione della Germania) e anche per l’Italia la fine della crescita impetuosa che ha caratterizzato gli anni del dopo Covid. Un rallentamento “normale” ma che per l’Italia rappresenta un problema perché dopo più di due anni di crescita il tasso di occupazione complessivo è al 62,3% (nella zona Ue è al 70,4 per cento). Peggio va per l’occupazione femminile perché tra i 20 e i 64 anni lavora solo il 53,5% delle donne a fronte del 70,2% in media dell’Ue e il divario tra donne e uomini è quasi il doppio della media Ue. Per non parlare dei Neet di cui deteniamo il record con oltre 3 milioni di giovani che non studiano e non lavorano. Un ulteriore dato di dettaglio può delineare meglio perché la situazione sia preoccupante: il tasso di disoccupazione così festosamente basso è in realtà determinato dal fatto che sempre meno persone cercano lavoro. E non perché siano già occupate, ma perché sono scoraggiate spesso senza un reale motivo o non interessate a trovare occupazione.

Il dato davvero negativo è quello relativo al numero degli inattivi (ossia persone che non lavorano né lo cercano). I dati di ieri dell’Istat lo testimoniano: il numero di inattivi cresce (+0,4%, pari a +44mila unità) tra gli uomini, le donne, i 15-34enni e gli ultra cinquantenni. Il tasso di inattività sale al 33,4% (+0,1 punti). Nessuna economia sviluppata ha un tasso così alto di inattivi. Cattiva volontà? Pancia piena e spesso cervello esausto? Anche ma soprattutto è il governo (l’attuale e quelli degli ultimi 10/15 anni) che crea una serie di incentivi a evitare il lavoro; infatti, meno redditi dichiari e maggiori sono le assistenze di stato, regioni, comuni, e altri enti locali; viceversa, più redditi dichiari e più la doppia, tripla progressività, penalizza il lavoro. Basti pensare all’AUUF (l’assegno per i figli) che il governo del merito pensa di togliere a chi non compila l’Isee o ha redditi sopra i 50/60 mila euro. Per una famiglia con Isee basso è sconveniente accettare un lavoro perché, dichiarando di più (magari il coniuge a carico) si possono perdere benefici anche di circa mille euro mese. Perché lavorare se lo Stato alla fine della tua vita pur non avendo mai versato contributi ti da 620 euro al mese, la social card, il contributo affitto, la sanità gratis ecc. ecc?

Mentre quelli che hanno sempre dichiarato redditi medi (da noi si pensa che con 60 mila euro lordi sei ricco ma al netto di tasse, contributi, rette scolastiche ecc. sei più povero di uno che guadagna 25 mila euro) vengono penalizzati. E’ il caso dei pensionati con prestazioni oltre 6 volte il minimo (poco più di 3 mila euro lordi e 2.100 euro netti) cui il ministro Giorgetti ha ridotto in tre anni del 10% il potere reale delle pensioni avendo ridotto la indicizzazione all’inflazione. Insomma, tra penalizzazioni al lavoro vero, inique flat tax e assistenze si è creato quel perverso intreccio che ci pone ultimi per occupazione, sviluppo e produttività e primi per debito ed evasione fiscale. Siamo arrivati al “tetto occupazionale” con potenziale riduzione nei versamenti contributivi e fiscali? L’unica certezza è l’aumento del debito causato dalle decontribuzioni e agevolazioni che drogano un mercato che vivacchia senza investire e con scarsa produttività.

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