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Tracciare la strada

Cosa vuol dire privatizzare le Ferrovie senza seguire il pericoloso modello inglese

Andrea Giuricin

In Gran Bretagna ci sarebbe sì bisogno di una revisione del sistema che sia diversa dalla statalizzazione del secolo scorso. Sarebbe molto più utile copiare il modello competitivo italiano, ovvero l'apertura del mercato

In Italia si ritorno a parlare di privatizzazione del settore ferroviario e a diverse persone viene in mente il caso britannico. L’Italia è stato un grande esempio per il processo di liberalizzazione, vale a dire l’apertura del mercato, il cosiddetto open access che ha portato ad avere due operatori ferroviari sui binari, la storica Trenitalia con il prodotto Freccia e Italo. Questo modello è stato di grande successo perché ha portato ad un grandissimo aumento dei passeggeri, delle frequenze e una diminuzione dei prezzi rispetto all’assetto precompetitivo ed è stato copiato da diversi paesi in Europa. Ha avuto un ruolo importante in questo processo anche l’Autorità di regolazione dei trasporti che è stato un po’ l’arbitro, ma è stato molto interessante anche il ruolo degli operatori. Il Frecciarossa 1000 è diventato un prodotto di successo e ora circola anche in altri paesi, quali in Spagna con Iryo e in Francia con Trenitalia France. Italo ha avuto il merito di evidenziare come un nuovo entrante privato abbia tutte le carte in regole per essere di successo e per spronare l’operatore storico. Dopo però il guasto di mercoledì, si è riaperta la discussione della privatizzazione e del ruolo che i privati potrebbero avere nel mercato ferroviario italiano.

Prima di focalizzarci su questo aspetto, c’è da comprendere quanto è successo in Gran Bretagna che è stato il primo mercato ad aprirsi alla concorrenza e ad andare incontro ad una privatizzazione. Il processo iniziale è nato nel 1994 (non con il Governo Thatcher) quando si separò la gestione dell’infrastruttura dagli operatori ferroviari. In quel caso in un primo tempo si privatizzò anche la rete, ma l’esperimento durò pochi anni visti i sotto-investimenti del gestore britannico che portarono a gravi incidenti ferroviari. A distanza di anni si può dire che ci fu sicuramente anche una mancanza di controllo proprio sul gestore dell’infrastruttura in quel caso da parte del regolatore. Tuttavia il settore delle compagnie ferroviarie (le TOC in inglese) fu completamente aperto alla concorrenza e privatizzato. Tale modello però ha visto non tanto la concorrenza nel mercato (come succede in Italia, dove il nuovo entrante chiede la licenza, rispetta i parametri e può entrare liberamente sul mercato), ma la concorrenza per il mercato. Questo modello prevede che si facciano delle gare per le diverse tratte da servire e il vincente della gara può gestire monopolisticamente quelle determinate tratte.

Anche grazie a questa scelta il mercato ferroviario britannico è raddoppiato negli ultimi decenni e una particolarità interessante è che gli operatori ferroviari nel complesso, prima del covid, non ricevevano contributi per le tratte (come succede per i servizi regionali in Italia), ma erano contributori netti. Questo perché le gare avevano portato ad azzerare i contributi per gli operatori ferroviari nel complesso, anche perché il modello inglese aveva scelto che gli operatori dovevano mantenersi in piedi sulle proprie gambe. Questo però ha portato ad avere dei prezzi dei biglietti molto elevati nel Regno Unito, ma questo è dipeso completamente da una scelta politica di azzerare i contributi per gli operatori ferroviari. In Italia, Italo e le Frecce non ricevono contributi, ma i regionali per scelta pubblica sono finanziati dalla collettività. E poi cosa è successo che il governo laburista vorrebbe ora rinazionalizzare il sistema?

In realtà è arrivato il covid che ha messo in difficoltà molte compagnie ferroviarie che non hanno visto sostanziosi aiuti come invece è (giustamente) successo in Italia e che si reggevano solo sugli introiti delle vendite dei biglietti. Questa caduta del traffico e dei ricavi ha portato a rinazionalizzare temporaneamente alcuni operatori su alcune tratte e il Governo socialista vorrebbe estendere questo modello a tutto il paese. Tuttavia, in Gran Bretagna ci sarebbe sì bisogno di una revisione del sistema, ma diversa dalla statalizzazione delle ferrovie che aveva portato fino agli anni ’90 un declino del settore ferroviario stesso. Sarebbe molto più utile copiare il modello competitivo all’italiana per la lunga percorrenza con un open access (che oggi esiste su pochissime tratte nel Regno Unito) che permetterebbe anche una caduta dei prezzi dei biglietti. Se il governo britannico invece per le tratte non a mercato volesse avere dei prezzi più bassi, dovrebbe cambiare la strategia degli ultimi anni pre-covid (dove erano le compagnie ferroviarie a pagare i contributi allo stato e non viceversa) ed iniziare a finanziare gli operatori dei regionali, sempre però mantenendo un regime di gare. La liberalizzazione e la privatizzazione italiana sono molto diverse dalla Gran Bretagna. In Italia si sono già visti dei passi importanti con l’arrivo del primo operatore privato nell’AV in competizione, ma all’interno del gruppo Ferrovie dello Stato Italiane si potrebbe decidere di privatizzare parzialmente alcuni asset. Le scelte spettano all’azionista di maggioranza, ma sicuramente è bene che non si copino gli errori dei socialisti britannici.

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