"Sacrifici per tutti"

Le manovre lacrime e sangue sono quelle non prudenti che prendono in giro gli elettori 

Nicola Rossi

Cosa c’è che non va nelle dichiarazioni di Giorgetti? Due cose: l'idea che una politica di bilancio rigorosa sia per forza fatta di "lacrime e sangue" e che, ammesso che sia vero, che sia presentata senza i motivi per cui è "lacrime e sangue". Qualche idea

Cosa c’è di discutibile nel dibattito che ha impegnato il paese nelle ultime ore? Cosa c’è di discutibile nell’affermare che, nelle condizioni date della finanza pubblica (che sono e permangono delicate), tutti sono chiamati – in forme e modi ovviamente diversi – a fare la loro parte? Certo non l’ipotesi di incrementi più o meno mirati, più o meno selettivi, più o meno giustificati della tassazione. Per quanto chi scriva ritenga che questa sia oggi una strada da evitare con cura e che anzi la strada lungimirante sia quella che passa per una graduale e progressiva riduzione della pressione fiscale, è del tutto legittimo che si immagini un percorso diverso. E allora, cosa c’è che non va nelle dichiarazioni che hanno occupato buona parte dei Tiggi delle ultime ore?
 

Essenzialmente, due cose. La prima ha a che fare con l’idea che una politica di bilancio prudente e rigorosa debba essere considerata come una politica di “sacrifici” se non addirittura di “lacrime e sangue”. Nel 2025 il disavanzo primario (al netto cioè degli interessi sul debito) è previsto attestarsi poco sopra lo  zero. Detto in altri termini, agli italiani verrà dato – sotto forma di servizi e di investimenti pubblici – più o meno quanto verrà loro richiesto, nonostante la incombente montagna di debito pubblico (e dimenticando per un attimo il tema, ineludibile, della disomogenea qualità dei servizi). E non si tratterà di un volume contenuto di servizi e investimenti dal momento che assorbirà risorse molto prossime al 50 per cento del nostro prodotto interno lordo. Difficile avvicinare tutto ciò al termine “sacrifici” sopratutto se lo si compara alle lacrime e al sangue – quelli veri, questa volta – cui andremmo incontro se prendessimo la strada – ampiamente battuta nella passata legislatura – di una gestione sconsiderata della finanza pubblica. Le parole contano e la politica dovrebbe riscoprire la sua funzione pedagogica (quella che, per usare le parole del Presidente del Consiglio, distingue un leader da un follower).
 

La seconda questione che il dibattito in corso pone con forza attiene invece all’ordine dei lavori implicito nelle affermazioni che hanno segnato il dibattito stesso. Ammesso – e, come si è visto, certamente non concesso – che il termine “sacrifici per tutti” sia utilizzabile nella attuale situazione italiana, sarebbe consigliabile farlo precedere da un elenco dettagliato dei risparmi di spesa previsti a tutti i livelli da parte delle Amministrazioni centrali e locali e delle relative misure di salvaguardia, da un elenco puntuale delle 7241 partecipazioni societarie pubbliche per le quali le Amministrazioni hanno rifiutato di intraprendere qualunque attività di razionalizzazione e per le quali si dovrebbe prevedere la dismissione coattiva nel 2025, da un azzeramento  nel 2025 delle garanzie offerte nell’emergenza al comparto bancario (consentendogli di non fare il proprio mestiere a spese dei contribuenti),  da una indicazione dei bonus in larga misura clientelari di cui si dovrebbe prevedere l’abolizione nel 2025. Perché non è certamente immaginabile che si chieda ai cittadini di fare pulizia in casa propria se prima non si chiede allo Stato di fare quantomeno la stessa cosa. Come direbbero gli anglosassoni, tutti – ma proprio tutti, lo Stato per primo – devono fare ordine in casa propria perché la casa comune sia in ordine. E sia permesso di dubitare che lo Stato lo stia facendo tanto quanto dovrebbe. È difficile? Certo, ma non si creda che per i comuni cittadini lo sia di meno. Anzi.
 

Ci è stata spesso ricordata negli ultimi due anni la utilità, anzi la necessità,  di affiancare, alla narrazione che ci accompagna da alcuni decenni, una narrazione diversa che dia all’Italia e agli italiani una prospettiva diversa e una diversa lettura di se stessi e del proprio futuro. Il dibattito in corso rappresenta, da questo punto di vista, una occasione da non perdere.

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