analisi

Extratassa sui profitti. Giorgetti e l'errore del modello Barnier

Luciano Capone

L’Italia sbaglia a seguire la Francia sulla strada dell'imposta straordinaria delle grandi imprese. Parigi è in emergenza, mentre il governo Meloni ha i margini di bilancio e la stabilità politica per attuare riforme e misure strutturali

Lo scorso anno, sempre in questo periodo, dopo la reazione negativa della borsa, Giancarlo Giorgetti diceva che sulla tassa sugli extraprofitti bancari c’era stato "un errore di comunicazione” da parte del governo. E la norma fu di fatto sterilizzata attraverso una modifica. Pure stavolta, nell’intervista a Bloomberg con cui il ministro dell’Economia ha annunciato un contributo straordinario a carico delle imprese, c’è stato probabilmente un difetto comunicativo. Ma anche qualcosa in più.

Il modo un po’ sibillino con cui Giorgetti ha ipotizzato di “tassare gli utili, determinati in modo giusto”, utile a schivare le polemiche dei partiti, ha prodotto incertezza sui mercati come ha mostrato la reazione negativa della Borsa. Il linguaggio allusivo è sicuramente utile a Giorgetti per preparare i partiti, ma tenendo ancora le carte coperte. Al contrario della politica italiana, i mercati preferiscono la trasparenza, soprattutto su questioni delicate. In caso contrario tendono ad allarmarsi.

In questo caso, però, c’è un problema più sostanziale. Giorgetti ha detto che la legge di Bilancio richiederà uno “sforzo” da parte delle grandi imprese, non solo le banche come finora si era ipotizzato, ma tutti i settori che sono stati particolarmente favoriti dalla congiuntura (“per esempio la Difesa”). La modalità è quella di “tassare gli utili",  ha detto, secondo il principio della capacità contributiva. Dalla descrizione, ma presto si vedrà il dettaglio della proposta, il Mef sembra aver preso ispirazione dalla Francia.

Lì il nuovo premier, Michel Barnier, ha annunciato un forte aggiustamento fiscale, pari a circa 60 miliardi, composto per due terzi di tagli alla spesa e per un terzo di aumenti di entrate. Su questo fronte, sono due le misure annunciate: un aumento del “contributo eccezionale” sui redditi più elevati (2 miliardi di gettito); un aumento temporaneo dell’imposta sui profitti delle società con un fatturato superiore a un miliardo di euro (8 miliardi di gettito).

Secondo le indiscrezioni, la sovratassa sulle imprese durerà due anni, aumenterà la pressione fiscale sui profitti di circa 10 punti arrivando al 35% e colpirà circa 300 grandi aziende francesi, che già ora versano circa un quarto dell’intero gettito dell’imposta sugli utili. Più che una tassa sugli extraprofitti, è un’extratassa sui profitti. Dalla descrizione, sembra che Giorgetti voglia seguire questa strada, anche se in maniera molto più moderata.

Ci sono però due differenze. La prima è che l’Italia, al contrario della Francia, ha poche grandi imprese. L’obiettivo dovrebbe essere averne di più, perché generalmente le grandi imprese fanno più investimenti e sono più produttive. E invece il governo arriverebbe al paradosso di introdurre una tassazione progressiva per le poche grandi imprese, mentre preserva la “flat tax” per gli autonomi. Punisce chi cresce e premia chi resta piccolo.

L’altra differenza è tipo politico. La Francia è in una situazione completamente diversa e molto più complicata. Sul lato economico, ha un deficit fuori controllo (dal 4,4% è stato rivisto al 5,1% e ora è proiettato oltre il 6%) e ha rinviato il rientro sotto il tetto del 3% dal 2027 al 2029. Sul lato più strettamente politico c’è una forte instabilità: quello di Barnier è un governo di minoranza, sostenuto dalle forze centriste e moderate che hanno perso le elezioni, e accerchiato dall’estrema sinistra e dall’estrema destra entrambe in crescita. La situazione a Parigi è quasi emergenziale, come peraltro mostra l’aumento dello spread.

L’Italia è per certi versi in una situazione opposta. Il deficit è calato più delle previsioni (3,8%, anziché 4,4%) e scenderà sotto il limite del 3% già nel 2026, con un anno di anticipo rispetto al Def (e tre anni prima di Parigi). Sul piano politico, a differenza di Macron, Meloni è sostenuta da un'ampia maggioranza e guida un governo solido, come pochi in Europa.

Il vantaggio competitivo dell’Italia è la stabilità: può offrire una prospettiva di legislatura, in linea con il Pnrr, creando un clima di fiducia per la crescita e gli investimenti. Questo però implica che l’aggiustamento dei conti sia strutturale: non più decontribuzioni temporanee né contributi straordinari, ma riforma fiscale e revisione della spesa. Invece di copiare la disperata linea Macron-Barnier, servirebbe una linea Meloni-Giorgetti.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali