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Automotive

I dazi? Autolesionistici. Meglio rivedere il blocco al motore endotermico

Oscar Giannino

Aumentare il costo dell’import dalla Cina, significherebbe gravare non solo sul consumatore europeo, ma anche su chi importa componentistica cinese necessaria per le auto elettriche

Ha dello stupefacente il singolare lascito della Commissione Europea uscente sull’industria automobilistica. Da una parte ha posto il bando dal 2035 a tutti i motori endotermici, cancellando con un tratto di penna i pacchi di miliardi spesi dall’intero settore europeo per abbattere sempre più le emissioni proprio dei motori banditi. Dall’altra, non ha voluto lasciar sola l’amministrazione Biden che ha alzato i dazi sulle auto cinesi, e vi si è accodata sia pure con un aumento minore di tariffe. Bisogna pensare che lo stop al motore endotermico sia stato deciso senza dare neanche uno sguardo alla realtà, visto che esso avrebbe portato all’innalzamento di import di auto cinesi. Negli ultimi anni il pieno sostegno al decollo dei veicoli elettrici e l’oligopolio di molti minerali indispensabili alle batterie di nuova generazione sono stati uno dei main drive della politica industriale decisa dal partito comunista cinese.

Non è che fossero ignoti a Bruxelles la dipendenza sulle materie prime strategiche coinvolte nella scelta, né il ritardo di anni dell’industria europea sul ciclo di investimenti necessari. Ma se è così la risposta giusta al crollo dei mercati dell’auto europei e al mancato decollo delle vendite di auto elettriche non è alzare i dazi sulle auto cinesi. La risposta logica dovrebbe essere rivedere lo stop al motore endotermico. L’Europa oltretutto è spaccata: a favore dei dazi dieci paesi, sei capitanati dalla Germania contro, e dieci astenuti. La Germania ha proprie ragioni forti, per dire no ai dazi: tutti i suoi giganti dell’auto a cominciare da Volkswagen hanno visto svanire i frutti della grande scommessa fatta quasi vent’anni fa, aprendo grandi stabilimenti in Cina. Mentre allora oltre il 50% degli acquisti sul mercato dell’auto cinese si volgeva a favore di modelli stranieri, oggi la quota di acquisti di auto estere è scesa di 20 punti e scende sempre più, perché i grandi produttori cinesi hanno innalzato tecnologia, livello delle finiture e design, e continuano a proporre prezzi in ogni segmento assolutamente inferiori ai modelli tedeschi.

Ora alla sconfitta sul mercato interno cinese, i produttori tedeschi aggiungono la beffa: se volessero reimportare in Europa la sovrapproduzione di modelli realizzati in Cina, dovrebbero trattare con la Commissione per evitare dazi europei, visto che anche i loro stabilimenti hanno goduto in Cina di cospicui coinvestimenti da parte di Pechino. Per un continente trasformatore e poco ricco di materie prime strategiche, come l’Europa, i dazi industriali sono sempre un autogol. Comportano aumenti di prezzo sull’import, che vengo trasferiti dritti al consumatore europeo perché non abbattono in maniera integrale il minor prezzo delle auto cinesi. Ma l’aumento di prezzo non è solo per gli acquirenti di auto, vale anche per chi importa componentistica cinese necessaria se vuoi il “solo elettrico”, e ciò fa innalzare il sovrapprezzo dei veicoli prodotti in Europa. Conclusione: mille volte meglio rivedere quel divieto al 2035 assunto in palese violazione di ogni neutralità tecnologica e calato dall’alto come una mannaia indifferente alle conseguenze che sta producendo, piuttosto che lasciarlo in vita e credere di difendere l’industria europea con dazi da cui ha invece tutto da perdere.       

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