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Il piano Transizione 5.0 per usufruire delle agevolazioni è pieno di falle. Le imprese chiedono correttivi

Dario Di Vico

Il vero tallone d’Achille del progetto sono i ritardi: i tempi si fanno strettissimi per adempiere alle tante certificazioni. Bisogna migliorare il testo per evitare che le Pmi a caccia degli incentivi appaiano dei rari nuotatori in un vasto gorgo

Transizione 5.0 è partita con il piede sbagliato. Attualmente i progetti che sono caricati sull’apposita piattaforma Gse non raggiungono i 100 milioni a fronte di una dotazione (ricca) complessiva di 6,3 miliardi. Nel mondo imprenditoriale, specie tra le Pmi, c’è incertezza e confusione e la sensazione è che di fronte alla complessità degli adempimenti in molti stiano rinunciando o concependo una sorta di piano B (usare ancora gli incentivi di Industria 4.0 mixati con la legge Sabatini). A suonare il campanello d’allarme stavolta però non sono solo le associazioni imprenditoriali, Ucimu-Confindustria in testa, ma anche il mondo bancario. In particolare Intesa Sanpaolo. Spiega Anna Roscio, executive director sales and marketing imprese: “Se Industria 4.0 era stata una storia di successo permettendo all’Italia di balzare dalla posizione di coda fino in testa alla graduatoria degli investimenti europei, oggi con Transizione 5.0 rischiamo il contrario. E i primi dati inducono forte preoccupazione”.

“Se si vuole riprendere il sentiero della crescita è il momento giusto per investire: la dinamica dei tassi va in direzione favorevole per indebitarsi e ci sono incentivi pubblici che sarà difficile replicare”. Del resto è stato proprio l’annuncio delle nuove misure che grazie al Pnrr legavano transizione digitale e transizione energetica a produrre uno stop o una pausa di riflessione negli imprenditori che volevano modernizzare. Ora è paradossale che dalla pausa in attesa delle norme si passi al rischio-flop post norme.

“Noi consideriamo Transizione 5.0 una pietra miliare per l’industria italiana – aggiunge Roscio – proprio perché congiunge risparmio energetico e digitalizzazione. Tuttavia le criticità rilevate nell’attuazione del piano e la scadenza ravvicinata per il completamento dei progetti di innovazione 5.0 rischiano di limitarne pesantemente l’efficacia. Occorre introdurre dei correttivi”. Ma quali sono le criticità rilevate anche da Riccardo Rosa, presidente di Ucimu (“è il risultato di ben 11 passaggi parlamentari, tra Italia e Europa”)? Innanzitutto le cronache parlano di complessità procedurali. Il decreto pubblicato in Gazzetta il 6 agosto prevede la presentazione di tre comunicazioni (ex ante, avanzamento ed ex post), due certificazioni di progetto (ex ante ed ex post), una perizia asseverata sull’interconnessione dei beni e una certificazione contabile. “Quest’iter, necessario per garantire trasparenza e correttezza, implica che le Pmi si debbano appoggiare a consulenti ad hoc”, sottolinea Roscio. E in ogni caso il rilascio delle certificazioni ex ante da sole richiede tempi stimati in due mesi.

I ritardi del resto sono il vero tallone d’Achille di Transizione 5.0. Capita così che la circolare operativa sia stata pubblicata il 16 agosto ma non fornisce ancora le informazioni necessarie per calcolare la riduzione dei consumi energetici per alcune tipologie di prodotti. Mancano istruzioni precise su come calcolare il risparmio. “E tra l’altro paragonare i consumi di una macchina vecchia di 25 anni con quelli di una nuova non è facile, spesso è come confrontare pere con mele. L’affidabilità delle stime tecniche va a farsi benedire”, annota Rosa. Il paradosso è che diventa addirittura antieconomico chiedere gli incentivi quando non si tratta di vendere sistemi complessi di automazione ma macchine singole, una fresa o un tornio. “Ma in questo modo tagliamo fuori un pezzo di fatturato importante e le Pmi che vedono difficoltà e ripiegano sul piano B. Ho paura che per tanti di loro il 5.0 resterà solo un sogno”.

Un’altra lacuna di Transizione 5.0 riguarda la tempistica dell’intero provvedimento. Gli articoli prevedono che le luci si spengano il 31.12.2025 ma a quel punto bisognerà avere già installato le macchine, averle collaudate e interconnesse e ciò significa che partendo da settembre ’24 i tempi si fanno strettissimi per adempiere alle tante certificazioni di cui sopra e ai tempi materiali della produzione di macchine sofisticate. E visto che a loro volta i costruttori italiani sono dei piccoli i volumi non potranno mai essere quelli desiderati.

La parola chiave per evitare il peggio, a questo punto, diventa “correttivi”. Bisogna introdurli e anche con una certa fretta. Bisogna migliorare il testo per evitare che le Pmi a caccia degli incentivi 5.0 appaiano dei rari nantes in gurgite vasto. Secondo Roscio di Intesa, servono intanto “una task force di esperti, un desk presso il Gse, l’aggiornamento delle Faq sui siti dedicati, tutte soluzioni semplici che aiuterebbero le imprese e i loro consulenti a indirizzare meglio le richieste”. Più assistenza, più vicinanza agli imprenditori deve però abbinarsi nell’immediato “a soluzioni di semplificazione delle procedure che rendano la misura più accessibile e utilizzabile, evitando di perdere un’occasione quasi irripetibile di modernizzazione delle imprese”. Infine c’è il nodo della proroga dei termini. “Spostare la data di chiusura di Transizione 5.0 è una soluzione di ultima istanza – spiega Roscio – che va negoziata con l’Europa e creerebbe le condizioni per un maggiore adesione al provvedimento e di conseguenza una maggiore impatto sul settore produttivo italiano”. La richiesta di proroga convince anche Rosa di Ucimu: “Ripareremmo l’errore di aver creato una norma 5.0 scritta solo da ministeriali, senza avere al tavolo i tecnici del settore”. E’ partita, dunque, una corsa contro il tempo. Migliorare per non floppare. Cronache del Pnrr nell’anno di grazia 2024.

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