guerriglia commerciale
Nella guerra dei dazi, la Cina se la prende con il brandy
Dopo il via libera di Bruxelles alle tariffe aggiuntive per l'automotive cinese, Pechino avvia una stretta sul distillato prodotto in Europa. Un colpo soprattutto per l'export della Francia, che vede la Cina fra i suoi principali mercati di sbocco
Dal prossimo venerdì 11 ottobre la Cina obbligherà gli importatori di brandy dall’Unione europea a consegnare alle dogane cinesi quello che il ministero del Commercio cinese chiama “deposito cauzionale”, cioè il 38-39 per cento dei prodotti che varcano il confine. È il primo esito di un’indagine antidumping annunciata da Pechino lo scorso gennaio sui prodotti liquorosi esportati dai paesi europei, una delle reazioni ai dazi fino al 45 per cento approvati la settimana scorsa dall'Unione europea. I dazi dell'Ue, a loro volta, erano la risposta di Bruxelles alle generose sovvenzioni statali che diverse case automobilistiche cinesi hanno ricevuto. Il via libera ai dazi alle auto elettriche cinesi era arrivato anche grazie al voto favorevole di Italia e Francia, che ha bypassato le dodici astensioni e il no della Germania, alla guida di altri cinque paesi contrari.
Il bersaglio delle “misure anti-dumping temporanee” introdotte dalla Cina è soprattutto la Francia, che nel 2023 ha occupato il 99 per cento delle importazioni di brandy nel gigante asiatico, con un volume d’affari di 1,7 miliardi di dollari. Nello stesso anno, si sono registrati ottimi risultati anche sulla variante più pregiata ed esclusiva del liquore: il mercato cinese del cognac si è confermato il secondo più redditizio per la Francia, subito dopo quello statunitense, con un 19,4 per cento di esportazioni (dati Bnic) e oltre 61 milioni di bottiglie vendute. L’anno precedente il comparto alcolico francese valeva il 31,4 per cento di tutto l’export agroalimentare in Cina.
“Ancora una volta, constatiamo che le nostre richieste di rinvio del voto e di soluzione negoziata sono state ignorate” hanno commentato lo stesso giorno in una nota i produttori del distillato francese, riuniti nel Bureau National Interprofessionnel du Cognac, lamentandosi del voto europeo, avvenuto secondo loro con una grave sottovalutazione delle continue minacce di ritorsioni da parte di Pechino. “Le autorità francesi ci hanno abbandonato. Non capiamo perché il nostro settore venga sacrificato in questo modo”. Pur mantenendo la fiducia in un dialogo costruttivo, dicono, per “una soluzione negoziata che impedisca ai nostri prodotti di affrontare una sovrattassa che potrebbe escluderli dal mercato cinese”.
In giornata non si è fatta attendere la reazione dei mercati: meno 4,3 per cento per Lmvh, proprietario del marchio Hennessy, il cognac più venduto al mondo, mentre i titoli della multinazionale Pernod Ricard calano di quattro punti, insieme agli otto bruciati da Remy Cointreau. La reazione alla stretta cinese si è estesa per l’intero settore, colpendo le negoziazioni di Campari (che gestisce anche il marchio di cognac Courvoiser) sprofondata in tarda mattinata di 1,8 punti percentuali.
Dal Lussemburgo si cerca di stemperare. ”Non siamo mai preoccupati, siamo ragionevoli. Abbiamo fatto una seria indagine che riguarda i rischi di sovrapproduzione in alcuni settori”, ha commentato il commissario europeo all'Economia Paolo Gentiloni in una conferenza stampa. Gentiloni ha difeso la stretta della Commissione riguardo i veicoli elettrici prodotti in Cina: “Abbiamo adottato decisioni appropriate e molto proporzionate non c'è motivo di reagire a queste decisioni proporzionate con rappresaglie”.
“La Cina adotterà tutte le misure necessarie per salvaguardare fermamente i legittimi diritti e interessi delle sue industrie e imprese”, dice invece una nota del ministero del Commercio cinese, lasciando intendere che i liquori europei non saranno l’unico obiettivo della reazione. Proprio nelle ultime ore, infatti, Pechino ha reso noto di stare prendendo in considerazione un eventuale incremento dei dazi sulle importazioni di veicoli a carburante di grossa cilindrata. Una controffensiva che, se applicata, danneggerebbe ancora di più l’industria automotive europea, che in questo momento è già in crisi.