i numeri

Lo strano caso dei moltiplicatori surreali del Pnrr e del Superbonus

Luciano Capone

Open Economics da anni fornisce benzina alla propaganda del M5s sostenendo che ogni euro speso con il Superbonus e il Pnrr produce 2,3 euro di crescita. Ma si tratta di numeri che contrastano con la realtà e il buon senso

Da qualche giorno, il M5s diffonde numeri sbalorditivi sul Pnrr a sostegno della tesi che l’Italia cresce solo grazie ai 209 miliardi che Giuseppe Conte ha “portato” dall’Europa. I dati sono questi: i 21,1 miliardi di fondi Pnrr spesi nel 2023 avrebbero prodotto un impatto sul pil pari a 49,6 miliardi, generando 15,1 miliardi di entrate fiscali (oltre il 70% della spesa) e oltre 700 mila nuovi posti di lavoro. Secondo lo studio, fatto da Open Economics, ogni euro speso con il Pnrr ha prodotto 2,35 euro di pil (moltiplicatore fiscale pari a 2,35) e, quindi, con poco più di un punto di pil investito magicamente nello stesso anno è stata prodotta una crescita del 2,55%.

Considerando che nel 2023 la crescita è stata dello 0,7%, prendendo per buoni questi numeri, vorrebbe dire che senza Pnrr l’Italia sarebbe sprofondata in una recessione di quasi il 2%. Improbabile. Perché improbabili sono i numeri di Open Economics. Nel Piano strutturale di Bilancio, il Mef ad esempio scrive che il moltiplicatore indicato dalla Commissione europea pari a 0,75 è “molto elevato”. È vero che il moltiplicatore degli investimenti è più alto di quello dei trasferimenti, ma in nessun caso arriva a 2,35: secondo la Banca d’Italia, l’Ufficio parlamentare di Bilancio  e lo stesso Mef si aggira attorno all’unità, tra 0,7 e massimo 1,2.

Ma la società di consulenza Open Economics, presieduta da Lucio Pasquale Scandizzo, stimato economista dell’Università di Tor Vergata, non è nuova a valutazioni del genere. A marzo del 2021, su commissione del Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica (Dipe) allora guidato dal sottosegretario a Palazzo Chigi nonché ideatore del Superbonus Riccardo Fraccaro, Open Economics e Luiss Business School fecero con la stessa metodologia una “Analisi d’impatto economico ex ante del Superbonus” (costo: 29.700 euro) le cui conclusioni comparvero sul sito del governo. In realtà lo studio, a parte una sintesi, non è mai stato pubblicato integralmente e ora anche la pagina con quelle conclusioni è sparita dal sito del Dipe di Palazzo Chigi.

In ogni caso, l’esito della valutazione fu che “a fronte di un aumento della spesa per edilizia abitativa pari a 8,75 miliardi nel triennio 2020-2022, si registrerebbe un incremento del valore aggiunto complessivo per il paese di 16,64 miliardi nel periodo di attuazione del provvedimento e un ulteriore incremento di 13,71 miliardi negli 8 anni successivi a fronte di un impatto netto attualizzato sul disavanzo pubblico pari a -811 milioni di euro”. Stupefacente. Gli autori calcolarono che il moltiplicatore era pari a 2,28 (analogo al 2,35 attuale per il Pnrr). Naturalmente, lo studio di Open Economics suggeriva di spendere molto di più: “Un incremento doppio della spesa per edilizia abitativa determinerebbe un impatto doppio sul valore aggiunto”. D’altronde con un moltiplicatore superiore a 2 conviene sempre raddoppiare la spesa. 

Quello studio, commissionato dal governo Conte, mise benzina nella propaganda del M5s a favore dei bonus edilizi. In realtà, tutte le cifre si sono rivelate sballate di almeno un ordine di grandezza: la spesa, come purtroppo abbiamo visto, è stata circa 20 volte superiore, mentre il moltiplicatore dieci volte inferiore. Con un costo netto a carico dello stato che non è stato di poche centinaia di milioni ma di circa 150 miliardi di euro.

Facciamo finta che i parametri di Open Economics siano verosimili. Nel 2023 in Italia sono stati spesi circa 90 miliardi in bonus edilizi (85 miliardi di solo Superbonus) e circa 20 miliardi di Pnrr: 110 miliardi in tutto. Considerando il moltiplicatore di 2,3 stimato da Open Economics, questa spesa avrebbe prodotto oltre 250 miliardi di valore aggiunto, ovvero una crescita pari a circa il 12,5% del pil. Significherebbe, tenendo sempre a mente che nel 2023 la crescita è stata dello 0,7% del pil, che senza Superbonus e Pnrr lo scorso anno il pil dell’Italia sarebbe improvvisamente crollato di circa il 12%. Uno sprofondo senza precedenti, peggiore della recessione del 2020, quando a seguito del lockdown l’economia italiana si contrasse di “appena” il 9%.

Sono valutazioni che contrastano con il buon senso. Il documento ufficiale “Italia domani”, firmato da Mario Draghi, prevede che l’impatto del Pnrr sul pil sarà pari, alla fine del piano, a 3,6 punti di pil cumulati dal 2021 al 2026 e soprattutto per merito delle riforme più che della spesa bruta. Questo nella migliore delle ipotesi, perché nello scenario più pessimista sarà pari all’1,8% del pil (2,7% nello scenario intermedio). Per Open Economics, invece, 2,5 punti nel solo 2023 spendendo un decimo del totale. Stesso discorso per l’occupazione. Altro che 700 mila solo nel 2023, secondo uno studio della Banca d’Italia l’occupazione generata “nell’anno di maggior spesa, il 2024, è stimata in circa 300.000 persone”.

È davvero singolare che in Italia quando c’è da spendere in deficit si sostiene che il moltiplicatore sia superiore a 2 mentre quando c’è da rientrare dal deficit si battaglia con Bruxelles sostenendo  che il moltiplicatore indicato dalla Commissione europea a 0,75 è troppo alto. Eppure si tratta della stessa cosa.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali