(foto EPA)

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Oltre all'audizione alla Camera c'è di più. Il processo a Tavares

Stefano Cingolani

Le critiche in Francia oltre a quelle in Italia: tutti i fronti aperti a casa dell’ad di Stellantis. I numeri che non tornano. Oggi l’audizione

Il Carlos Tavares che si presenta oggi per un’audizione a Montecitorio è un manager che pensa già alla pensione? Lo ha  detto egli stesso, “un po’ per celia un po’ per non morir”. In realtà il suo contratto scade tra un anno e mezzo, tuttavia il consiglio di amministrazione di Stellantis sta già cercando un successore. Si guarda agli Stati Uniti, da dove viene la metà dei risultati oggi molto deludenti, o all’Italia, i cui stabilimenti soffrono più che altrove: Tavares non ha capito né il mercato americano né quello italiano portati in dote dalla Fiat Chrysler. Gira da tempo il nome di Luca de Meo, cresciuto accanto a Sergio Marchionne, decollato nel gruppo Volkswagen e soprattutto nella spagnola Seat, e ora gran capo della Renault.

 

Si parla di José Muñoz, responsabile americano della Hyundai, per dare un segnale di discontinuità, mentre i soci francesi vedrebbero bene Maxime Picat, ex capo di Peugeot, il marchio che si sta riprendendo grazie ai nuovi modelli ibridi ed elettrici. Tavares è ormai assediato dai sindacati (quelli americani minacciano lotta dura, quelli italiani scioperano il 18), dai rivenditori i quali protestano per ritardi e disfunzioni, dai clienti che ridanno indietro le Citroën C3 e C4 perché utilizzano gli airbag Takata che esplodono in faccia ai conducenti, dagli analisti finanziari che si chiedono se Stellantis sa ancora vendere automobili, dal mondo politico, sindacale e mediatico francese. Il Monde sabato scorso ha aperto il giornale con un reportage puntuto. Titolo: “Perché Stellantis dubita del metodo Tavares”. Sì, l’azienda sta delegittimando il suo capo. E a farlo sono gli stessi azionisti. Quando persino John Elkann lo ha apertamente criticato per aver detto che era pronto a cedere anche la Maserati, si è capito che l’aria è cambiata.

 

Domenica 29 settembre il consiglio di amministrazione si è riunito in un clima funereo. A marzo Tavares si era presentato trionfante: l’anno scorso aveva raggiunto utili a due cifre, non accade mai a un grande produttore generalista, succedeva alla Mercedes o alla Bmw prima di essere colpite da una crisi che non è solo un vuoto d’aria, ma il segnale di una svolta di fondo nell’auto europea, un’industria ormai matura. Il margine operativo del 14 per cento raggiunto nel 2023 è un’eccezione, il primo semestre dell’anno ha visto una brusca frenata, di qui a dicembre si prevede margine zero. Stati Uniti e Italia sono i maggiori punti deboli, ma le cose non vanno bene nemmeno in Francia. Giovedì 3 ottobre Tavares ha dato appuntamento nell’impianto di Sochaux in Borgogna a giornalisti, politici locali di tutti i partiti (il presidente della regione è socialista) e al ministro dell’industria Marc Ferracci. Ha cercato di spiegare cosa combina, ha vantato che negli Usa è cominciata una sia pur leggera ripresa, mentre le nuove Peugeot E-3008 ed E-5008 hanno venduto 60 mila vetture da giugno a settembre. Tavares intravede qualche raggio di sole, intanto continua a tagliare, questa volta la testa dei manager.

 

La situazione italiana è disastrosa. A settembre le immatricolazioni sono piombate del 33,9 per cento, tre volte peggio della media (-10,7 per cento). Mirafiori dove si produce la 500 elettrica già invecchiata, è ferma fino a novembre. L’Alfa Junior si fa in Polonia come le vetture del partner cinese Leapmotor, la Panda Grande elettrica in Serbia, la fabbrica di batterie a Termoli è in pausa, la Maserati un clamoroso flop, non arrivano le nuove Jeep. Tavares cambierà metodo e strategia, rallentando la conversione elettrica e guardando ai nuovi prodotti più che ai tagli? Con le sue sforbiciate ha risanato anni fa la Peugeot e ha spinto i profitti dopo la pandemia quando la domanda tirava, oggi rischia di avvitare il gruppo in una spirale discendente. “Siamo al macellaio di Eindhoven” dice al Monde un consigliere che vuol restare anonimo. Il macellaio era Jan Timmer che negli anni 90 per salvare la Philips ha chiuso tutti gli impianti. Oggi il colosso olandese delle lampadine fa apparecchiature e tecnologie sanitarie, nel 2023 John Elkann è diventato primo azionista. 

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