Disuguaglianze
Perché le nazioni crescono o falliscono. Un Nobel sulle istituzioni
Scelte politiche sbagliate possono non solo condannare una popolazione alla povertà, ma avere effetti molto persistenti nel tempo. I tre vincitori hanno letteralmente inaugurato un filone di ricerca
Il Premio Nobel per l’economia nel 2024 va a Daron Acemoglu (MIT), Simon Johnson (MIT) e James Robinson (Università di Chicago) “per i loro studi su come le istituzioni si formano e influenzano la prosperità”. Si tratta di un riconoscimento atteso da anni, tanto che la domanda non era “se” ma “quando”: lo confermano i meme che si trovano su internet e che fanno di Acemoglu una specie di Chuck Norris dell’economia.
Il comitato per il Nobel premia la florida collaborazione fra i tre studiosi e, dopo anni in cui aveva enfatizzato l’importanza della ricerca empirica, fa tornare il pendolo dal lato della teoria. Acemoglu, Johnson e Robinson (comunemente noti come AJR) hanno il merito di aver letteralmente inaugurato un filone di ricerca: pur prendendo le mosse dai lavori degli anni Novanta sulle ragioni della crescita, se ne sono distaccati ponendo le basi per la moderna storia economica. La domanda sul perché alcuni paesi crescono e altri no, si può dire, costituisce il punto di partenza dell’economia come disciplina autonoma, e non a caso “Un’indagine sulla ricchezza delle nazioni” è il titolo del celeberrimo volume di Adam Smith del 1776. Nel tempo, gli economisti hanno capito che una parte della spiegazione risiede nella natura delle istituzioni: le istituzioni che AJR chiamano “estrattive” impoveriscono una società perché impediscono che le sue risorse siano messe a frutto; le istituzioni che invece chiamano “inclusive” ne favoriscono lo sviluppo. Ma perché alcuni luoghi sviluppano istituzioni estrattive e altri inclusive?
Alla base dei risultati trovati da AJR ci sono due lavori cruciali, pubblicati rispettivamente nel 2001 e nel 2002. L’uno utilizza i tassi di mortalità dei colonizzatori europei per dedurne la natura delle istituzioni che avevano esportato nelle colonie: nei luoghi dove erano esposti a una maggiore mortalità, tendevano a instaurare istituzioni estrattive, mentre altrove replicavano le istituzioni europee. Questa differenza nelle condizioni iniziali ha effetti ancora oggi, e spiega le diverse fortune di paesi africani o latinoamericani. L’altro paper mostra un’evidenza controintuitiva: le colonie che, all’arrivo degli europei nel XVI secolo, erano più ricche, oggi sono più povere. Tale “rovescio della fortuna” (questo il titolo del paper) è dovuto al fatto che gli europei, quando trovavano una società florida, tendevano a depredarla imponendo istituzioni estrattive. Dove invece trovavano condizioni più misere, si sforzavano di esportare un modello sociale tale da porre le premesse per la crescita economica.
Queste prime intuizioni sono al centro dei loro successivi lavori, che hanno scavato sempre più a fondo nel ruolo e nella natura delle istituzioni. In sintesi, il messaggio complessivo è che scelte politiche sbagliate possono non solo condannare una popolazione alla povertà, ma avere effetti molto persistenti nel tempo. Tra le innovazioni a loro ascrivibili – e che oggi fanno pienamente parte del mainstrem – ci sono l’utilizzo di “esperimenti naturali” offerti dalla storia e lo sforzo di recepire all’interno dei modelli formali gli effetti del cambiamento istituzionale. Per esempio, uno degli esempi più noti è il “racconto di due città”, cioè la vicenda di Nogales, che si trova proprio al confine tra Messico e Stati Uniti. Essa è quindi divisa in due da una recinzione: a nord del confine c’è Nogales, Arizona, un luogo prospero e dinamico, mentre a sud c’è Nogales, Sonora, che è molto più povero. Poiché la composizione sociale e la cultura dei due luoghi sono identiche, l’unica differenza sta nell’enorme distanza tra le istituzioni inclusive degli Usa e quelle estrattive del Messico.
Diversamente da altri premi Nobel, quelli di quest’anno – soprattutto Acemoglu, forse il più eclettico dei tre – sono anche grandi divulgatori. Le loro tesi sono note al grande pubblico grazie a numerosi libri, tutti best seller. Secondo il Comitato per il Nobel, “i tre vincitori di quest’anno sono stati pionieri nell’adozione di nuovi approcci, empirici e teorici, che ci hanno fatto fare grandi passi avanti nella comprensione delle disuguaglianze globali”. O, meglio, delle ragioni per cui a volte le traiettorie di paesi apparentemente simili divergono. Se la storia è maestra di vita, il premio a Acemoglu, Johnson e Robinson riconosce la funzione di chi ha redatto le dispense delle sue lezioni.