Gli atenei di domani
Come trasformare in realtà le indicazioni di Draghi sulle università
La modifica delle regole introdotte dalla riforma Gelmini, l'aggiornamento del sistema di valutazione e un migliore ranking: solo con questi cambiamenti sarà possibile potenziare gli atenei italiani e sviluppare risposte coerenti con le nuove competenze richieste dal mondo del lavoro
Dodici milioni di nuovi posti di lavoro per “highly skilled occupations”, a fronte di un calo di tre milioni e mezzo per le occupazioni “skilled, manual and non manual”, e di una occupazione costante per i lavori definiti “elementari”: questo l’impatto delle grandi trasformazioni globali sul mondo del lavoro che emerge dal capitolo del rapporto Draghi dedicato alle competenze. Un capitolo cruciale per la competitività, che non ha ricevuto adeguata attenzione. Per questo è stato con piacevole sorpresa che ho letto il contributo di Lorenzo Bini Smaghi sul Foglio sul nostro sistema universitario e sulle azioni per rafforzarlo. Secondo Draghi gli Stati Membri non sono all’anno zero, ma sono indietro rispetto ad altre aree avanzate, a partire dagli Stati Uniti. Un giudizio che induce a una riflessione: gli stati membri hanno colto la direzione, a partire dall’Italia, mettendo in campo riforme e investimenti, serve però fare di più e più velocemente.
L’Italia, in particolare, anche grazie al Pnrr, ha puntato – soprattutto in questi ultimi due anni – su tre obiettivi: rendere accessibili i livelli più alti della formazione, aumentando il numero di giovani che frequentano corsi di laurea e di specializzazione; innovare, flessibilizzare e ibridare i percorsi di studio; internazionalizzare il sistema universitario. Le azioni adottate sotto il primo profilo hanno fatto leva su un massiccio processo di orientamento degli studenti delle scuole superiori (1 milione da coinvolgere entro il 2026) per incoraggiare l’iscrizione all’università e ridurre gli abbandoni, e su un potenziamento di borse di studio e alloggi. Nel corso del 2023 le risorse statali a favore delle borse hanno raggiunto la cifra record di 850 milioni di euro. Uno stanziamento che ha permesso di riconoscere per la prima volta la borsa a tutti gli studenti idonei, inclusi quelli che, per mancanza di risorse, negli anni precedenti non avevano beneficiato del contributo.
Uno sforzo analogo riguarda l’housing universitario. A borse e alloggi si aggiungono agli esoneri dalle tasse universitarie, grazie ai quali il 38% degli studenti frequenta gratuitamente le nostre università. Queste azioni sono state affiancate da interventi di riforma dei programmi e dei corsi di laurea. Le grandi trasformazioni (digitale, ambientale, sociale, economica) richiedono di superare la tradizionale contrapposizione tra sapere scientifico e sapere umanistico. Con la riforma delle classi di laurea sono stati introdotti elementi di innovazione, per consentire alle università di costruire percorsi interdisciplinari e aumentare le possibilità per gli studenti di personalizzare i piani di studio individuali. Accanto a tali interventi sono state numerose le iniziative per aumentare il numero di laureati in materie Stem.
Infine, l’internazionalizzazione è stata al centro delle politiche del Ministero dell’Università e della Ricerca. Internazionalizzare vuol dire attrarre ricercatori e studenti dall’estero, favorire collaborazioni accademiche e scientifiche in Europa e con paesi terzi, rafforzare i programmi di mobilità dei nostri studenti e ricercatori. L’internazionalizzazione non è soltanto un rimedio a una demografia avversa ma una leva di stimolo e arricchimento culturale. Negli ultimi dieci anni sono aumentate le chiamate dirette di professori dall’estero (quasi 1500), grazie al cofinanziamento del Mur. Gli studenti stranieri sono 121.000 su un totale di circa 1.950.000.
Il ministero ha finanziato numerose iniziative transnazionali, che hanno consentito alle nostre università, accademie, conservatori di instaurare collaborazioni e aprire sedi in paesi stranieri. Questo basta? E’ molto, ma serve fare di più. A partire, come rileva Bini Smaghi, da una innovazione dei meccanismi di finanziamento del sistema universitario. Il Fondo di Finanziamento Ordinario va reso più flessibile per dare maggiori leve agli atenei, rafforzando il necessario legame tra autonomia e responsabilità. Vanno riviste le regole introdotte quasi 15 anni fa con la riforma Gelmini, che ha innovato il sistema universitario, ma che richiede un aggiornamento per far fronte a scenari diversi e sfide ignote nel 2010. Per questo è stato istituito un apposito gruppo di lavoro presso il Ministero. Va migliorato il sistema di valutazione introdotto più di dieci anni fa, che ha avuto il merito di allineare il nostro paese alle migliori prassi internazionali, ma che deve includere non solo la ricerca scientifica, su cui l’Italia ha performance eccellenti, ma anche la didattica. Serve, infine, sostenere le università per migliorarne il posizionamento nei ranking. Rafforzare il sistema universitario è una sfida chiave per il futuro del paese, che richiede impegno e una visione lungimirante, con l’obiettivo di garantire alle nuove generazioni opportunità all’altezza delle trasformazioni globali.
Marcella Panucci, capo di gabinetto del ministero dell’Università e della ricerca