costo dell'energia

La crisi del gas non è ancora finita: ecco perché il prezzo sta salendo

Carlo Stagnaro

Oggi i prezzi non sono preoccupanti, anche grazie a un elevato livello di riempimento degli stoccaggi. Ma sono destinati a rimanere più alti che in passato, e potrebbero rincararsi ancora fino a quando l’offerta globale non si sarà adeguata

I combustibili fossili raggiungeranno presto il picco della domanda, dopo il quale il fabbisogno comincerà a scendere. Questo determinerà, nella seconda metà del decennio, una “pressione al ribasso sui prezzi dell’energia” causata innanzitutto da “una più ampia disponibilità di petrolio e gas naturale liquefatto (Gnl)”, ma anche da “un eccesso di capacità manifatturiera per alcune tecnologie chiave dell’energia pulita, in particolare i pannelli solari e le batterie”. E’ uno dei messaggi principali lanciati ieri dall’Agenzia internazionale dell’energia alla presentazione del suo rapporto annuale, il World Energy Outlook 2024. 
Se dunque, almeno secondo l’Agenzia di Parigi, nel medio termine possiamo essere ottimisti, non è detto che ciò sia vero anche nel breve. Lo si vede bene nei prezzi: ieri al Psv (la borsa di riferimento per il mercato italiano) le quotazioni del megawattora di gas superavano i 40 euro. Un valore che, pur lontano dai picchi di due estati fa, è decisamente superiore alle medie storiche e, soprattutto, in crescita rispetto ai mesi scorsi. I rincari indicano una tensione sui mercati, che a sua volta riflette margini ridottissimi tra domanda e offerta globale. Questo vale soprattutto per il Gnl, da cui l’Europa dipende sempre di più in seguito al progressivo sganciamento dalla Russia. Eppure, in questi ultimi mesi Mosca è rimasta una componente importante, ancorché minoritaria, del nostro approvvigionamento. Anzi, rispetto al 2023 il flusso di gas russo attraverso il tubo che attraverso l’Ucraina è aumentato: ma tra poche settimane le cose cambieranno. A fine anno, con la scadenza dei contratti per l’utilizzo di tale pipeline, l’apporto dalla Russia via tubo verrà completamente meno. Qualcuno immagina che la società azera Socar potrebbe subentrare a Gazprom nei contratti, ma pochi sono pronti a scommetterci. Il problema riguarda principalmente l’Austria,  la Slovacchia e l’Italia. Quali potrebbero essere le conseguenze?

E’ difficile dirlo perché tutto dipende dalle condizioni di domanda e offerta durante i mesi invernali. Negli ultimi due anni, l’Europa ha fatto grandi passi avanti per ridurre il fabbisogno di gas, grazie alle rinnovabili, all’efficienza energetica e al risparmio. Ma non basta. Dal lato dell’offerta, la produzione domestica continua a calare, soprattutto dopo la chiusura del maxi giacimento di Groeningen in Olanda. In controtendenza c’è solo la Romania, che probabilmente presto diventerà il maggior produttore Ue. 
Poi ci sono le importazioni. Per smarcarsi dalla Russia, l’Europa ha ampliato la capacità di rigassificazione, realizzando vari terminali (tra cui due in Italia: uno a Piombino, da ricollocare, l’altro a Ravenna, che sarà operativo l’anno prossimo). Il gas, però, va trovato e acquistato sui mercati. E’ questo che spiega il nervosismo dei prezzi. Pur in un contesto di complessiva riduzione del fabbisogno, alcune componenti della domanda europea spingono in direzione contraria: l’industria è in leggera ripresa, anche se difficilmente tornerà ai livelli pre-crisi, mentre i consumi per il riscaldamento dipendono dal clima. Gli ultimi due inverni sono stati brevi e con temperature miti. La stagione 2024/25, al contrario, si annuncia più fredda: se le temperature raggiungeranno livelli molto bassi, o se vi sarà una lunga coda invernale, i prezzi potrebbero crescere ulteriormente.

Anche perché il mercato del Gnl non è limitato all’Europa ma è globale. Altre parti del mondo, che finora avevano espresso una domanda sottotono, si stanno risvegliando: i paesi asiatici, e in particolare la Cina, hanno ripreso a consumare. Nel terzo trimestre 2024, la domanda cinese ha superato del 12 per cento i livelli dello stesso periodo nel 2023, in netta accelerazione rispetto al trimestre precedente (quando la crescita era stata del 7 per cento). Pure nel resto del mondo si registra una maggiore fame di gas (+24 per cento tendenziale nel terzo trimestre). 

La situazione, dunque, è critica e incerta: basterebbe poco per alterare i fondamentali. Per esempio, il gasdotto che ci porta il metano dalla Norvegia (il nostro principale fornitore) è in manutenzione. In teoria dovrebbe tornare in pieno esercizio attorno alla fine di ottobre, ma se i lavori si prolungassero oltre le previsioni potremmo avere qualche problema. Allo stesso modo, non si può completamente escludere la possibilità di incidenti, attentati o malfunzionamenti sulle altre rotte di importazione. Lo stesso vale per il Gnl: tempo fa fu uno sciopero dei lavoratori australiani ad agitare i mercati, poi venne il turno di alcuni ritardi nei lavori presso alcuni treni di liquefazione negli Stati Uniti, domani chissà. E finché non saranno in linea i nuovi liquefattori (specie negli Usa) i mercati continueranno a ballare. 

Insomma: oggi i prezzi non sono preoccupanti, anche grazie a un elevato livello di riempimento degli stoccaggi. Ma sono destinati a rimanere più alti che in passato, e potrebbero rincararsi ancora fino a quando l’offerta globale non si sarà adeguata, se e quando si determinerà un disallineamento con la domanda. In mezzo c’è almeno un inverno da superare, al termine del quale gli stoccaggi andranno di nuovo riempiti. Siamo, insomma, nelle mani del clima. Con un paradosso: l’Italia potrebbe presto avere un rigassificatore in meno. La nave rigassificatrice Italis (ex Golar Tundra) entro il 2026 dovrà lasciare Piombino. In teoria avrebbe dovuto spostarsi a Vado Ligure, ma entrambi i candidati alla presidenza della Regione Liguria si sono dichiarati contrari: Marco Bucci smarcandosi dalle decisioni del predecessore Giovanni Toti, Andrea Orlando sconfessando l’accordo stretto col sindaco di Piombino dal governo Draghi, di cui era ministro. 

Nessuno vuole la nave nel proprio mare, ma i mercati nelle prossime settimane potrebbero incaricarsi di ricordarci che l’irresponsabilità non è priva di conseguenze.