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Rapporti alla mano /20

La galassia pubblica: cosa fare con gli oltre 10 mila organismi pubblici italiani

Sabino Cassese

Il rapporto dell'Istat raccoglie il lungo elenco delle società inserite nel perimetro della pubblica amministrazione, ma poi serve definire, elencare, gestire, controllare. Perché l’Ue vigila, i confini con il privato a volte non sono così netti e se balla il perimetro della Pa ballano anche i conti 

Sul Corriere della Sera del 10 ottobre 2024 si poteva leggere un breve articolo, intitolato “L’ Istat e le società pubbliche: il Tesoro scriva l’elenco”, scritto da Mario Sensini. L’articolo segnalava un problema importante e vale la pena di trascriverlo tutto. “Ricorsi al Tar, alla Corte dei conti, pure alla Corte di giustizia Ue, e tante grosse incognite sui conti pubblici. Ogni volta che una società o un ente viene inserito dall’Istat nel perimetro della pubblica amministrazione, e succede ogni anno, scatta la rivolta. E’ così dal 2004, da quando l’Istat, per legge, deve compilare un elenco delle società “pubbliche”, oggi oltre 10.500. Sono quelle che impattano sui conti monitorati dalla Ue, alle quali si applicano le ferree regole del Tesoro. Che non ci stanno. I ricorsi fioccano: protestano le fondazioni liriche, i teatri, le concessionarie autostradali, le federazioni sportive, tutti finiti, man mano, nella famigerata lista ‘s. 13’ degli enti della Pa in base alle linee guida Ue. Crescono il contenzioso e anche gli equivoci con Eurostat, l’ufficio Ue che certifica i bilanci e che ha preteso la riclassificazione come società pubbliche di Sace, Simest, Rai, Gse, Fintecna, Invimit, le finanziarie regionali, ora 3I e Giubileo spa (e ha messo Cassa depositi nel mirino). Ballando il perimetro della Pa, ballano i conti. Il presidente dell’Istat, Francesco Maria Chelli, ha segnalato il problema al governo. La lista, ha detto in Parlamento, dovrebbe farla il Tesoro (gestendo anche tutte le conseguenze). La spesa primaria netta, il nuovo parametro Ue, è calcolata sulla lista s.13 attuale. Se cambiasse, cambierebbero il profilo dei conti e del piano strutturale”.

 

L’elenco Istat


Chi abbia il coraggio di leggere i documenti redatti in sede europea per delimitare il sistema europeo dei conti deve prepararsi a digerire 80 pagine scritte per individuare il settore del “general government” e le  successive quasi 60 pagine per stabilire quali sono le entità controllate dal governo. Questo ardore classificatorio è importante perché i 27 paesi che fanno parte dell’Unione europea hanno ordinamenti amministrativi diversi. Alcuni sono più concentrati, come la Francia, che ha una antica tradizione di accentramento e uniformità. Altri, invece, sono più decentrati, come la Germania, a causa della sua tradizione regionale. Altri, come l’Italia, sommano a una struttura decentrata organismi deconcentrati, cioè posti al centro, ma separati dalla struttura statale in senso stretto. Tutto questo richiede di determinare una griglia comune, che però finisce per imbrigliare lo Stato. In altre parole, questo esercizio permette di capire che cosa sia oggi lo Stato e quale sia la sua enorme complessità, ma pone anche problemi che riguardano la gestione amministrativa e quella contabile delle entità che sono incluse all’interno del perimetro pubblico.

 

                       


L’elenco delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato, individuate in base all’articolo 1, comma 3 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 e successive modificazioni (legge di contabilità e di finanza pubblica) è compilato sulla base delle norme classificatorie e definitorie proprie del sistema statistico nazionale e comunitario (Regolamento UE n. 549/2013 sul Sistema Europeo dei Conti Nazionali e Regionali nell’Unione Europea – SEC2010). I criteri utilizzati per la classificazione delle unità sono di natura statistico–economica


Pubblico e privato


La determinazione del settore pubblico mediante elencazione è certamente un metodo più sicuro per stabilire, nell’Unione europea, che cosa vada inteso per Stato, perché la qualificazione formale varia da ordinamento giuridico a ordinamento giuridico. Ma essa ripropone il tradizionale problema della distinzione tra pubblico e privato.


Questo dipende dalle ambiguità del ricorso al codice civile da parte dello Stato e degli enti pubblici, che esternalizzano per sfuggire ai vincoli pubblici, salvo poi applicarli agli istituti di diritto privato prescelti. E’ una vicenda di matrimoni non riusciti e di divorzi impossibili, o fatti a metà. Le commistioni sono tali che non si capisce dove sia la linea di confine e come avvengano le metamorfosi. 


Il diritto privato e il diritto pubblico formano due mondi separati che non vivono mai in pace, ma che non sono né abbastanza amici, né abbastanza nemici per conoscersi bene. Questa frase, scritta nel 1831, dagli Stati Uniti, da Alexis Tocqueville in una lettera al suo collega magistrato francese Blosseville, si può tranquillamente ripetere ancora oggi, perché pubblico e privato continuano a inseguirsi e contraddirsi. Lo Stato ricorre al diritto privato, e principalmente istituti come la persona giuridica, la società, la fondazione, l’associazione, per liberarsi dei vincoli del diritto pubblico, ma, poi, impone a questi stessi istituti vincoli pubblicistici facendo, quindi, sorgere l’interrogativo sul perché abbia fatto ricorso allo strumento del diritto privato. 

 

Chi definisce e chi controlla


I problemi posti dalla classificazione richiesta da Bruxelles e preparata dall’Istat sarebbero di facile soluzione se dalla classificazione non dovessero conseguire implicazioni importanti, che riguardano il comando e il controllo degli enti, l’applicazione ad essi di regole di contabilità pubblica, l’estensione a carico degli amministratori di principi relativi alla responsabilità contabile pubblica. 


Il primo problema che si pone è: si deve necessariamente fare conseguire l’applicazione dei criteri pubblicistici a tutti gli enti, anche quelli di natura privata che sono inclusi nell’elenco? Questo comporta una contraddizione perché nell’elenco vi sono numerosi enti che sono privati, ma che vengono poi sottoposti a regole gestionali, a controlli, a forme di responsabilità che sono proprie degli enti di natura pubblica. Quindi, all’elenco viene dato un sovrappiù di valore. In altre parole, proprio l’assenza di una chiara distinzione tra ciò che è pubblico e ciò che è privato, e l’esistenza di una zona grigia intermedia, induce amministrazioni pubbliche, organi di controllo e giudici ad avvalersi dell’elenco Istat per stabilire ciò che sta nel perimetro pubblico e ciò che sta fuori del perimetro pubblico. 


A favore dell’utilizzo dell’elenco come strumento che traccia la linea di confine c’è l’incertezza oggi esistente. Contro c’è l’argomento che lo Stato non può ricorrere ad organismi di tipo privatistico per sfuggire alle regole pubblicistiche e poi, contraddicendosi, applicare queste ultime agli enti di natura privata che aveva costituito.


Inoltre, la linea di distinzione tracciata dall’Unione europea è quella che risale alla tradizione della cultura aziendalistica italiana che separa nettamente enti imprenditoriali da enti di erogazione. Infatti, come osserva l’Istat, la forma giuridica dell’unità non è determinante ai fini classificatori.  Secondo il SEC 2010, il Settore s.13 “è costituito dalle unità istituzionali che agiscono da produttori di beni e servizi non destinabili alla vendita, la cui produzione è destinata a consumi collettivi e individuali e sono finanziate da versamenti obbligatori effettuati da unità appartenenti ad altri settori, nonché dalle unità istituzionali la cui funzione principale consiste nella redistribuzione del reddito della ricchezza del Paese”.

 

Le unità incluse nell’elenco


L’Istat chiarisce che le unità incluse nel settore delle amministrazioni pubbliche possono appartenere alle seguenti tipologie: 
a) entità pubbliche che in forza di una legge esercitano un potere giuridico su altre unità nel territorio economico e gestiscono e finanziano un insieme di attività, principalmente consistenti nel fornire alla collettività beni e servizi non destinabili alla vendita; 
b) società o quasi-società controllate da un’amministrazione pubblica, a condizione che la loro produzione consista prevalentemente in beni e servizi non destinabili alla vendita, ovvero che i proventi derivanti da vendite o entrate ad esse assimilabili non riescano a coprire almeno la metà dei costi di esercizio; 
c) istituzioni senza scopo di lucro riconosciute come entità giuridiche indipendenti che agiscono da produttori di beni e servizi non destinabili alla vendita e che sono controllate da amministrazioni pubbliche; 
d) fondi pensione autonomi per i quali la contribuzione è obbligatoria e la fissazione e approvazione dei contributi e delle prestazioni sono gestite da amministrazioni pubbliche. 


Per stabilire se una unità controllata dall’amministrazione pubblica debba essere classificata nel settore s.13, il SEC 2010 prevede che ne sia verificato il comportamento economico (“market/non market”) attraverso l’analisi della concorrenzialità del mercato in cui essa opera (criteri qualitativi) e, in via subordinata, l’applicazione del test del 50 per cento (criterio quantitativo).  La concorrenzialità del mercato è verificata mediante valutazioni che riguardano la struttura della domanda e dell’offerta, le modalità di affidamento di servizi e lavori, gli accordi contrattuali. Il test “market/non market” verifica in quale quota i ricavi derivanti da vendite realizzate in condizioni di mercato (market) coprono i costi di produzione (compreso il costo del capitale) sostenuti. Se tale quota risulta inferiore al 50 per cento per un congruo periodo di tempo, l’unità è classificata nel settore s.13. 


L’elenco comprende gli enti più vari: per considerare solo quelli locali, ne sono esempi A.M.A. - Azienda mobilità aquilana - Società per azioni, Agenzia interregionale per il fiume Po – AIPO, Autorità Regionale dei Trasporti della Calabria, Autostrada Campogalliano Sassuolo S.p.a., Azienda Musei provinciali di Bolzano, Cassa del Trentino S.p.a., Consorzio Catania ricerche, Consorzio per il Festivalfilosofia, Ente Acque della Sardegna – ENAS, Finpiemonte S.p.a., Fondazione Ente Ville Vesuviane, Istituto regionale per la floricoltura, Molise dati – società informatica molisana S.p.a.  Scuola Provinciale Superiore di Sanità Claudiana, Società degli Interporti Siciliani S.p.a., Trentino Riscossioni S.p.a.

 

L’uso di un istituto a fini diversi da quelli originari


In uno dei più originali e acuti volumi giuridici scritti di recente (Giorgio Mocavini, Ai confini dello Stato. Gli enti funzionali all’amministrazione, Milano, Giuffré, 2024, p. 345 ss.) si può leggere: “Un […] esempio di come determinate qualificazioni derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea finiscano per essere impiegate, dal legislatore e dalla giurisprudenza nazionali, a fini diversi da quelli originari è rappresentato dalla nozione contabile di ‘pubblica amministrazione’”.  Il Sistema europeo dei conti pubblici elaborato a partire dagli anni Settanta del secolo scorso su iniziativa dell’Istituto statistico della Comunità Europea (Eurostat), poi modificato nel 1995 e nel 2010, per assicurare un quadro contabile europeo uniforme per il  conto economico consolidato delle pubbliche amministrazioni, “rileva anche ai fini del contenimento della spesa pubblica, dal momento che una serie di norme rinviano agli enti inclusi nell’elenco per imporre loro un divieto o un limite quantitativo a determinati tipi di spesa ovvero per obbligarli ad adottare specifiche modalità per l’acquisto di beni e servizi”


L’elenco ha finito per servire a tracciare la linea di confine tra ciò che è sottoposto a regole e controlli pubblici e ciò che appartiene all’area privatistica. Ma, poiché lo Stato – come già notato – ricorre spesso a istituti privatistici per svolgere le sue attività, la classificazione Istat ha finito per attrarre nell’area pubblicistica molti organismi che erano nati per sottrarre alle regole e ai controlli pubblicistici le relative funzioni. Esempi importanti sono le federazioni sportive e le casse previdenziali, organismi privati trattati come se fossero pubblici. In tutta questa vicenda è rimasto coinvolto l’Istat, perché dalle sue classificazioni, che applicano criteri europei, si è fatto discendere un sovrappiù di significato su una materia tanto importante per lo Stato, la distinzione tra ciò che è pubblico e ciò che è privato.


La proposta dell’Istat


In conclusione, l’attuale situazione richiede un intervento normativo per risolvere una contraddizione. Il primo capitolo del “Manual on General Government Deficit and Debt” 2022 delimita la nozione di settore pubblico. La sua concreta determinazione è affidata in Italia all’Istituto nazionale di statistica. Tuttavia, sull’elenco dell’Istat si esercitano anche i giudici amministrativi e contabili perché l’elenco non ha un significato esclusivamente conoscitivo, ma serve anche a stabilire criteri di gestione e controllo. La conseguenza è che l’elenco finisce per essere molto meno sicuro di quello che appare perché la giurisprudenza è contraddittoria, fissa criteri che debbono essere applicati anche ad altri, può variare, non è frutto di un solo giudice, ma di due giudici, quello amministrativo e quello contabile. Per questo l’Istat, come ha ribadito per bocca del suo presidente nell’audizione resa il 7 ottobre 2024 alle Commissioni bilancio della Camera dei deputati e del Senato, ha chiesto una modifica delle regole sulla definizione del perimetro delle amministrazioni pubbliche tenute a rispettare equilibrio di bilancio e sostenibilità del debito pubblico, a causa dell’elevato livello di contenzioso amministrativo e contabile che produce risultati contraddittori. La proposta è quella di disaccoppiare l’attuale lista in una funzionale alla produzione statistica, l’altra funzionale alla definizione del perimetro dei soggetti ricadenti nell’ambito di applicazione dei provvedimenti finalizzati al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica.

 

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