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Il rapporto di Confindustira: all'Italia produttiva mancano 120 mila lavoratori stranieri

Stefano Cingolani

La carenza di lavoratori, un vuoto sia quantitativo sia qualitativo, è il primo dei nodi da sciogliere per aumentare la competitività italiana, scrive lo studio elaborato dal direttore Alessandro Fontana e dai suoi economisti

12 e 120 mila. 12 sono i migranti che il governo ha cercato di parcheggiare in Albania; 120 mila sono i lavoratori stranieri in più dei quali l’economia italiana ha bisogno ogni anno nei prossimi quattro anni. Nei numeri c’è sempre una magia e ieri è stato Antonio Polito a svelare l’inganno delle cifre durante la presentazione dell’ultimo rapporto della Confindustria che ha segnato un po’ il debutto mediatico di Lucia Aleotti vicepresidente con delega al Centro studi. La carenza di lavoratori, un vuoto sia quantitativo sia qualitativo, è il primo dei nodi da sciogliere per aumentare la competitività italiana scrive lo studio elaborato dal direttore Alessandro Fontana e dai suoi economisti.

 

E’ un macigno che ostacola il cammino di una Italia in rallentamento, ma ancora con il segno più (0.8 per cento quest’anno è la previsione in linea con la Banca d’Italia e il Fondo monetario internazionale, un po’ meno di quel che calcola il Tesoro). Il paese vende bene all’estero (l’export è la locomotiva quest’anno in cui la domanda interna langue), razionalizza il suo tessuto manifatturiero (con una riduzione del nanismo anche se ancora insufficiente), riorganizza le filiere produttive per seguire un Green Deal ormai datato (è stato varato nel 2019 prima della pandemia e dell’invasione dell’Ucraina), che sta producendo scossoni ben superiori alle previsioni in numerosi settori fondamentali e andrebbe rivisto senza paraocchi ideologici. 

 

Il rapporto è ricco di analisi non solo congiunturali, molte delle quali meritano una riflessione da parte di chi fa politica, del governo innanzitutto, ma anche delle opposizioni. Tuttavia il parallelo tra quel 12 e quel 120 mila colpisce, e non solo l’immaginazione. Tra i fattori della produzione oggi il lavoro provoca la preoccupazione maggiore anche perché ha un impatto a medio e lungo termine: noi oggi stiamo scontando la ricaduta di quel è successo negli ultimi vent’anni, ha sottolineato Lucia Aleotti. Le proiezioni dell’Istat dicono che di qui al 2028 mancherà un milione e 300 mila lavoratori. L’aumento del tasso di occupazione non sarà sufficiente a colmare il divario. Certo si può (anzi si deve) ampliare con politiche adeguate la partecipazione delle donne e dei giovani italiani. Ma in cinque anni nel migliore dei casi avremo 730 mila lavoratori in più, ce ne  vogliono altri 610 mila che dovranno per forza di cose arrivare da fuori confine. Anche considerando gli ingressi previsti dall’ultimo decreto flussi, c’è uno squilibrio che potrebbe essere colmato ampliando gli ingressi di circa 120 mila unità l’anno, scrive il rapporto; quindi non più 151 mila come previsto fino al 2025, ma circa 270 mila. Non c’è nessuna magia in queste addizioni, è la fotografia della realtà che l’economia italiana si trova ad affrontare e alla quale il governo è chiamato a dare una risposta.

 

Non basta. Tra i lacci e lacciuoli c’è anche la “trappola della mobilità”: costi, salari, mancanza di alloggi, tutto ciò rende molto difficile spostarsi alla ricerca di un lavoro, così si allarga il divario regionale, non solo tra nord e sud. Milano, l’asse che va da Bologna a Firenze, Roma, la Campania fino a Bari passando per la Basilicata sono le aree dove i costi degli alloggi non sono sostenibili. Anche questo è un nodo che spetta al governo sciogliere, così come il caro energia con prezzi molto superiori a quelli europei, uno dei maggiori disincentivi per chi vuol venire a produrre in Italia. L’Unione europea ha dilemmi ancor più vasti da risolvere. La crisi dell’auto ha molte cause, una delle quali è il crollo della domanda tra i giovani, l’altra è dovuta al cumulo di errori dei produttori europei (il rapporto non fa nomi, ma sono i più grandi cioè Volkswagen e Stellantis), tuttavia sarà difficile seppellire il motore endotermico nel 2035. In Italia la crisi mette in pericolo la crescita del prodotto lordo per il prossimo anno vista l’importanza della filiera: un giro d’affari da 63 miliardi di euro, un valore aggiunto di 15 miliardi, oltre 170 mila occupati. E non c’è solo l’auto. Due spettri chiamati Ets e Cbam (lo scambio di quote di gas a effetto serra e il prezzo delle emissioni di CO2 in alcuni prodotti extra Ue) stanno creando uno svantaggio competitivo in Europa e in Italia dove soffrono in modo particolare settori importanti come la ceramica, il vetro, il cemento, il marmo, la carta, i derivati dal petrolio. Il rapporto nell’insieme offre un’immagine positiva dell’Italia che produce, guai a non prendere sul serio le sue preoccupazioni.

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