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L'azzardo turco. Ma la dedollarizzazione è molto lontana. Parla l'economista Brunello Rosa

Mariarosaria Marchesano

Se la Turchia dovesse davvero entrare nei Brics avrà l’effetto di rafforzare un gruppo di paesi che intende sfidare il G7 non solo sotto il profilo economico ma monetario. È stato un errore non aprire al paese le porte dell’Ue?

La Turchia nei Brics, che vuol dire un paese Nato in un blocco politico ed economico anti occidentale che vede come attori principali Cina e Russia, fa sorgere una domanda: è stato un errore non aprire al paese le porte dell’Unione europea? “Col senno di poi, dico si poteva fare uno sforzo di immaginazione in più”, osserva l’economista Brunello Rosa della London School of Economics in un colloquio con il Foglio. “Questi processi sono lunghi e penso sia difficile che una decisione definitiva venga presa già nel summit di Kazan, ma se la Turchia dovesse davvero entrare nei Brics avrà l’effetto di rafforzare un gruppo di paesi che intende sfidare il G7 non solo sotto il profilo economico ma monetario”, aggiunge Rosa, che ha di recente pubblicato il libro “Smart Money - Come le valute digitali vinceranno la nuova Guerra fredda e perché l’Occidente deve agire ora”, pubblicato da Bloomsbury. “Dopo quasi vent’anni in cui ha atteso inutilmente di entrare nell’Unione”, dice l’economista, “la Turchia vuole unirsi a un gruppo di paesi che ha in mente un piano di indebolimento del dollaro che finora è stato sottovalutato”. 

 
Erdogan fa capire, però, che la sua non è una scelta contro l’occidente, piuttosto vuole fare da ponte. Insomma, vorrebbe tenere un piede in due scarpe. E’ credibile? “In verità, non sarebbe la prima volta che la Turchia svolge un ruolo di mediazione negli equilibri internazionali e poi, pur non essendo membro Ue, è parte dell’Unione doganale europea ed è comunque alleato dell’occidente. Posizione che punta a sfruttare al tavolo dei Brics il cui pil non arriva forse a quello del G7 ma cresce molto più velocemente e punta ad avere una propria valuta”. Ma il disegno di “dedollarizzazione” che i Brics stanno perseguendo negli scambi commerciali finora non ha portato a risultati rilevanti. “Questo perché è tecnicamente molto difficile che i Brics arrivino ad avere una moneta comune. Dove sarebbe la Banca centrale, a Mosca, a Pechino o a Brasilia? E’ un nodo irrisolvibile. E la Cina è più avanti di tutti nella creazione di una valuta digitale e l’infrastruttura tecnologica che sta costruendo può essere utilizzata un domani per far nascere e crescere la moneta con la quale i Brics puntano ad aumentare la propria influenza nella sfera globale. Gli Stati Uniti cominciano a essere coscienti di questo rischio, in Europa se ne parla meno, pur essendo la Bce impegnata nello sviluppo dell’euro digitale”. Insomma, è come se la mossa della Turchia avesse dato una scossa a tutti: i Brics fanno sul serio. 

    
Nati da una scommessa finanziaria (il termine fu coniato dal banchiere d’affari Jim O’Neil) si sono trasformati in una nuova area di influenza geopolitica man mano che le tensioni commerciali tra Cina e Stati Uniti aumentavano e che la Russia mostrava le sue mire espansionistiche fino all’invasione dell’Ucraina. Quali sono state le ragioni che hanno sconsigliato l’ingresso della Turchia nell’Ue? “La prima è che la Germania ha temuto che aumentasse a dismisura l’immigrazione turca. La seconda è di tipo religioso: l’Unione europea, che si fonda su radici ebraico-cristiane, avrebbe dovuto aprire a un paese a prevalente cultura islamica. La terza ragione è geopolitica: allargare i confini alla Turchia avrebbe voluto dire avvicinare geograficamente l’Unione alle zone più calde del mondo. Ecco i ragionamenti che sono stati fatti”. Sono ancora validi, secondo lei? “Tutti molto sensati, ma se poi la Turchia ce la ritroviamo dall’altra parte, bisognerà ammettere che, forse, come scelta è stata poco lungimirante”.

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