Lo studio
Radiografia del made in Italy: al top energia e banche, flop delle tlc
Per Mediobanca, a guidare i risultati del capitalismo italiano nel 2023 sono le aziende a controllo statale. Svettano i player del settore energetico, bancario e assicurativo, mentre le imprese delle telecomunicazioni scivolano nelle perdite
E’ un capitalismo di chiara impronta pubblica e dominato dai big del petrolio e del gas quello che viene fuori dalla fotografia scattata sulla base dei bilanci del 2023 dall’Area Studi di Mediobanca alle principali 2.800 aziende italiane dell’industria, dei servizi e dei settori assicurativo e bancario. Tra le top 20 infatti ben nove sono imprese a controllo statale, sei a capitale privato e cinque multinazionali estere. E ancora, tra di esse nove sono del settore energia, quattro manifatturiere e sette attive nelle infrastrutture, costruzioni e servizi. Mancano con tutta evidenza in questa fotografia le big tech come Amazon, Microsoft e Google che sono oggetto da parte di Mediobanca di uno studio ad hoc. In definitiva l’antropologia del capitalismo italiano della metà degli anni 20 vede come protagonisti assoluti i grandi manager di stato e non i più i capitani della grande industria manifatturiera.
In cima a tutti nella graduatoria stilata dagli analisti di Piazzetta Cuccia c’è l’Eni che nel 2023 ha superato sul filo di lana la capolista dell’anno precedente, l’Enel (93,7 miliardi contro 92,9). Un primato che risulta ribadito anche dai dati del primo semestre 2024 con l’Eni a quota 44,7 miliardi ed Enel a 38,7. Performance che sono ancora più significative perché, sottolinea Mediobanca, ottenute “nonostante l’indebolimento delle quotazioni delle principali commodities”. Osservazione doverosa (quasi un caveat) e che va allargata alla valutazione dell’intero studio perché qualsiasi classifica dei ricavi dei grandi operatori dell’energia è fortemente influenzata dal corso del prezzo di gas e petrolio.
Al terzo posto dopo le due big c’è il Gse (Gestore servizi elettrici) con 55,1 miliardi di fatturato e per trovare la prima azienda manifatturiera dobbiamo scendere al quarto posto e trovare Stellantis Europe con 27,8 miliardi. Un risultato che, va detto, ben difficilmente sarà replicato quest’anno in piena crisi del mercato dell’auto. Seguono nell’ordine Telecom – prima nei servizi –, Prysmian, Leonardo, Edison, Hera e A2A. Sempre nell’ambito delle prime 20 società sono da segnalare l’11esimo posto delle Ferrovie dello Stato, il 14esimo di Poste Italiane, il 15esimo di Parmalat a controllo francese. Chiude la lista Esselunga, unica azienda della grande distribuzione presente tra i 20 big.
L’avanzata del capitale pubblico emerge anche dall’analisi delle aziende che hanno raggiunto o conservato il miliardo di fatturato (a moneta costante). Sono 274, venti anni fa erano 160 e di conseguenza la crescita dimensionale è stata sicuramente significativa ma non straordinaria visto l’ampio arco di tempo preso in considerazione. Le “miliardarie” a controllo statale pesano di più, infatti se prima rappresentavano meno del 30 per cento ora superano il 34 così come energia e petrolio valgono per il 37 per cento contro il 10,3 dei mezzi di trasporto. Sul piano della redditività c’è un piccolo miglioramento (dal 3 al 4 per cento del rapporto utili/fatturato) ma i campioni del 2023 sono nella sostanza aziende molto diverse da quelli del 2003. “Oggi ne abbiamo di più ma più piccoli – spiega Gabriele Barbaresco, direttore dell’Area Studi Mediobanca – il loro fatturato medio equivale a quello del 2003 ma se la forza lavoro media era allora di quasi 10 mila unità, ora siamo attorno alle 7 mila”.
La regina degli utili risulta con 4,8 miliardi ancora l’Eni che sopravanza nell’ordine Enel, Stellantis, Poste Italiane e Ferrari (salita nell’ultimo anno preso in esame del 41,6 per cento). A guidare la graduatoria delle società in perdita invece è Telecom seguita da Sky e Vodafone. Se passiamo dagli utili a esaminare l’occupazione il peso del pubblico ritorna ancora una volta in primo piano: guida la lista dei datori di lavoro Poste Italiane con circa 120 mila dipendenti, segue Ferrovie con oltre 92 mila, poi Enel con 61 mila e Leonardo con oltre 53 mila.
Il peso del manifatturiero italiano è palesemente sproporzionato rispetto al settore energia. Messe insieme le top 20 manifatturiere restano sotto di 83 miliardi di ricavi alla somma delle sole tre big dell’energia e del petrolio (Eni, Enel e Gse). La composizione interna della graduatoria vede prevalere le aziende meccaniche su quelle alimentari e metallurgiche. C’è una sola farmaceutica nelle prime 20 (Menarini) e una sola della moda (Prada). Di converso 16 su 20 hanno aumentato il fatturato e solo 4 l’hanno visto calare. Tra i brand più conosciuti troviamo Barilla, Pirelli e Cremonini. E’ interessante notare come le top 20 vadano in controtendenza rispetto al restringimento del settore manifatturiero preso globalmente, le grandi sono cresciute in un anno del 5,9 per cento mentre ovviamente lo stesso non si può dire per la miriade di medie e piccole imprese. Tra i leader dei singoli settori abbondano le multinazionali, a cominciare da Ikea.
Lo studio di Mediobanca si chiude con i settori bancario e assicurativo. Intesa Sanpaolo guida la graduatoria con attivi tangibili per 953,2 miliardi seguita da Unicredit con 782,7 e Cassa depositi e prestiti con 396,2. Gli attivi tangibili delle prime due, annotano gli analisti, equivalgono all’83 per cento del pil italiano e comunque l’immagine che ne viene fuori non è certo quella di un made in Italy bancario debole. Anzi, gli istituti di credito sono diventati più efficienti dal lato dei costi, estremamente redditizi e hanno in pancia un importo di crediti inesigibili irrisorio. Detto questo il 2023, per effetto dell’aumento dei tassi deciso dalla Bce a partire dal secondo semestre del ’22, è stato un anno-record per gli utili: Unicredit 9,5 miliardi, Intesa 7,7 e Monte dei Paschi 2. Infine le assicurazioni: da solo il gruppo Generali (82 mila dipendenti) con ricavi per 49,5 miliardi di euro rappresenta il 66,5 per cento del comparto ed è seguito a molta distanza da Unipol.