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L'analisi

Tutti d'accordo per utilizzare i risparmi per la crescita del pil. Ma con quali strumenti?

Mariarosaria Marchesano

Le premesse ci sono, ma mancano i mezzi per garantire l'utilizzo del risparmio privato senza esporre i cittadini a rischi eccessivi: serve un modello ad hoc per canalizzare la spesa privata nell’economia

Quest’anno la Giornata mondiale del risparmio (la centesima) è stata l’occasione per andare oltre il solito tema dell’ignoranza finanziaria degli italiani, che pure persiste, e parlare di come impiegare la ricchezza privata nazionale per far crescere il pil. Un cambio di paradigma sottolineato anche dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il quale, intervenendo ai lavori, ha detto che “il risparmio è un valore per il futuro del paese”. 

 

Per quanto stia un po’ diminuendo, la propensione degli italiani a mettere fieno in cascina, il flusso annuo di risparmio privato “supera oggi 400 miliardi, un quinto del reddito nazionale, ma solo parte di esso finanzia gli investimenti in italia”, come ha spiegato il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta. Un dato aiuta a capire che esiste una leva finanziaria alternativa al debito pubblico per sostenere la crescita economica del paese di cui c’è ancora scarsa consapevolezza. “Nel quinquennio precedente la pandemia le risorse interne impiegate all’estero erano in media pari al 2,5 per cento del pil. Se utilizzate per finanziare capitale produttivo in Italia, avrebbero accresciuto investimenti di quasi un quinto”, ha sottolineato Panetta aggiungendo che il risparmio è un elemento di stabilità per la vita delle famiglie, ma è allo stesso tempo una risorsa al servizio degli investimenti per le imprese: “Risparmio e progresso economico e sociale sono strettamente connessi”.

 

La ragione per cui si è creata una tale dispersione di risorse è da attribuire, secondo Antonio Patuelli, presidente dell’Abi, a una tassazione eccessiva dei risparmi, che avrebbe spinto tanti italiani a investire all’estero. Ad ogni modo, sembra arrivato il momento di un cambio di passo anche perché, come ha spiegato il presidente dell’Acri, Giovanni Azzone, all’interno di un paese il risparmio non è neutro. “Può rimanere circoscritto, allargando di fatto le disuguaglianze esistenti, o può essere investito e creare valore per la comunità, trasformandosi in bene collettivo”. Ma in che modo? “Finanziando infrastrutture energetiche, di telecomunicazione e di trasporto per rendere più attrattivo il nostro territorio, sostenendo la crescita delle imprese per creare nuovi posti di lavoro, supportando il terzo settore e rafforzare la coesione sociale del paese”, propone Azzone. Per fare tutto questo ci vogliono gli strumenti e il numero uno dell’Acri ha ricordato che il governo Meloni ha allo studio “alcune misure per incentivare e accompagnare una radicale inversione di tendenza in questo campo che potrebbe rivelarsi un potente volano di crescita per il sistema economico nazionale”. 

 

Intanto, però, proprio le fondazioni di origine bancaria sono state invitate dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, intervenuto ai lavori, a una revisione del protocollo con il Mef, che risale ormai al 2015, per favorire nuove forme di collaborazione tra questi enti e lo stato. Giorgetti ha ribadito l’impegno a riportare il debito dell’Italia su un sentiero di discesa, ma contemporaneamente ha affermato la necessità di “mobilitare anche il risparmio privato” che assumerà di nuovo il ruolo di risorsa fondamentale per lo sviluppo”. 

 

Insomma, mai forse prima d’ora si era registrata una tale unità d’intenti sull’utilizzo della ricchezza privata. D’altronde, il tema è già all’attenzione dell’Unione europea come dimostra il rapporto di aprile “Much more than a Market” di Enrico Letta, che ha proposto di dar vita a “un’unione di risparmi” per finanziare la crescita dell’area attraverso forme di partenariato pubblico-privato. Dunque, ci sono le premesse, quello che manca sono gli strumenti che possano garantire un utilizzo del risparmio privato per la crescita che non faccia correre rischi eccessivi ai cittadini. Se i titoli di stato, i Btp, finanziano la spesa pubblica, serve anche un modello ad hoc per canalizzare la spesa privata nell’economia. L’ultima volta che c’è stato un dibattito pubblico ampio sul tema era il 2016-2017, durante il governo Gentiloni, quando sono nati i Pir, i Piani individuali di risparmio per investire sulle imprese del made in Italy. I fatti hanno dimostrato che le cose sono andate in parte diversamente. 

 

Adesso è vero che il governo ha messo allo studio alcune misure, ma al momento l’unica di cui si hanno notizie è il fondo dei fondi che Cdp e Mef stanno preparando per investire nelle imprese quotate, rivitalizzando così il mercato dei capitali dell’Italia. Serve, probabilmente, uno sforzo di fantasia per dar vita a nuove formule, ma per come le posizioni di diverse istituzioni si stanno allineando il momento è vicino.