L'analisi
Incitando alla “rivolta sociale”, Landini avvicina la Cgil ai Cobas
Quelli usati dal segretario non sono termini usati a caso da uno sprovveduto, e dunque qualche significato lo hanno. Riportano alle parole d'ordine dell'Autonomia sindacale nel secolo scorso per parlare a un'amplia coalizione che va dai centri sociali ai movimenti cattolici del terzo settore
Nel giorno dell’exploit politico-elettorale di Donald Trump, il segretario della Cgil Maurizio Landini non ha trovato di meglio che incitare alla “rivolta sociale”. Per carità, il leader sindacale ci ha abituato a un’attenta gestione dei decibel al rialzo – a cui deve per altro le sue fortune nei talk show – ma siccome non parliamo di uno sprovveduto il ricorso a un linguaggio oltranzista qualche significato, seppur contingente, ce l’ha.
Da un punto di vista squisitamente lessicale non si può non annotare come quest’incitamento si ponga al di fuori della tradizione classica della Cgil, attenta nelle formule della protesta a restare sempre dentro il perimetro della democrazia strutturata. “Rivolta sociale” inequivocabilmente, invece, sa di protesta slabbrata, di insurrezione, e quindi finisce per evocare le parole d’ordine dell’Autonomia dello scorso secolo o quelle dei Cobas di oggi. Landini è convinto di essere il leader naturale di un’ampia coalizione di associazioni che va dai centri sociali ai movimenti cattolici del terzo settore ed è in qualche modo a essi che ha scelto di parlare.
In Cgil sanno che lo sciopero generale contro il governo indetto per fine mese, quasi come fosse un rito a cadenza annuale, non avrà ampio seguito nei luoghi di lavoro. Sarà comunque uno sciopero di minoranza. E proprio per questo c’è bisogno di de-sindacalizzarlo e di politicizzarlo vieppiù, chiamando in piazza la galassia dell’antagonismo e del pacifismo. Del resto anche nella scelta di non firmare il rinnovo del contratto degli statali la Cgil si è trovata a fianco, oltre alla fedelissima Uil di Pierpaolo “Che” Bombardieri, proprio la Usb.
Ma l’insieme di queste mosse tattiche finisce per riscrivere la mappa di quello che è stato il prestigioso sindacalismo italiano e attesta la maggiore confederazione sempre più lontana dalla Cisl e sempre più vicina ai Cobas. Con tanti saluti a quelle battaglie sociali (in primis il potere d’acquisto dei salari) che avrebbero bisogno di unità e massa critica.