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L'analisi

La legge di Bilancio appare prevedibile e cauta, ma c'è un problema di coperture

Marco Leonardi e Leonzio Rizzo 

La manovra conferma decontribuzioni e tagli fiscali, ma si basa su previsioni ottimistiche delle entrate e tagli alla spesa che potrebbero non essere sostenibili nel lungo periodo

La legge di Bilancio ha due caratteristiche: è prudente e prevedibile. Le misure fondamentali, le decontribuzioni per i redditi bassi e la riduzione dell’Irpef, erano già presenti nelle precedenti due manovre. Anche se sono state stabilizzate, sono una continuazione dell’ultima legge di Bilancio di Draghi.

L’unico elemento di novità è il concordato biennale per gli autonomi, i cui effetti finanziari non sono contabilizzati nella legge di Bilancio. Sembrerebbe che per il prossimo biennio si ricavino 1,3 miliardi, non sufficienti a finanziare l’eventuale sgravio fiscale per la  classe media da 4 miliardi all’anno. In ogni caso, sarebbero entrate temporanee e quindi non adatte a finanziare una misura strutturale.

E’ una manovra  prevedibile e per questo piace molto ai mercati e alla Commissione Ue. Tuttavia, ciò che ha permesso di mantenere i conti in ordine senza nuove tasse sono una serie di operazioni basate su ipotesi azzardate e a volte inedite: non dovessero essere rispettate, i conti pubblici potrebbero rapidamente cambiare. Sono previsti tagli lineari alla spesa  dei ministeri per 7,8 miliardi in tre anni, mentre storicamente la Ragioneria  dello stato approvava tagli lineari per non più di un miliardo all’anno. Tagli di molto inferiori non si sono realizzati in passato. Vi sono poi definanziamenti di spese per investimento previsti per i prossimi tre anni per 7,9 miliardi, che colpiscono tutti  i ministeri tranne la Difesa. Circa mezzo fondo per la decontribuzione Sud, 2,5 miliardi, viene utilizzato a copertura della manovra.

Le entrate vere e proprie per il 2025 (circa 1,2 miliardi) sono  poche è fanno di fatto riferimento a un escamotage tecnico, che è quello delle imposte anticipate sulle rivalutazioni dei terreni e delle partecipazioni (circa 840 milioni) e poco altro. La promessa imposta sugli extraprofitti bancari è diventata un semplice rinvio delle deduzioni fiscali previste per il 2025 e il 2026: in sostanza, il governo trattiene alcuni incentivi che spetterebbero alle banche, ma dovrà poi restituirli a partire dal 2027 fino al 2029. Un processo analogo è previsto per le imposte di bollo nelle assicurazioni. Ma “trattandosi di un puro anticipo di imposta”, osserva la Corte dei Conti, “un effetto di incasso più consistente nel prossimo biennio si rifletterebbe, tuttavia, in una perdita di gettito più pronunciata dal 2027”.

Una copertura consistente è rappresentata da 1,6 miliardi che deriverebbero dalle imposte in più incassate sull’effetto espansivo della stessa manovra. Come sottolinea  l’Upb nella sua audizione, l’applicazione di un criterio prudenziale, dovrebbe indurre, come in genere si fa, a non utilizzare tali entrate a copertura di spese certe. La nuova Ragioneria ha evidentemente un orientamento differente nell’interpretazione delle regole non scritte, di buon senso, della finanza pubblica.

Ma il vero jolly è un altro. Una grossa mano alla legge di Bilancio viene da ipotesi, non solo a nostro avviso, ma anche per l’Upb e la Banca d’Italia, di previsioni ottimistiche sulle entrate tributarie per il 2025 e 2026. Come per le previsioni a legislazione vigente per il 2025 e 2026 della scorsa legge di Bilancio, anche quest’anno si stimano entrate in entrambi gli anni maggiori di circa 40 miliardi, ovvero 1,8 punti di pil. Tale effetto è dovuto alla previsione di un incremento di occupazione e  crescita del pil  superiore a quelli verificatasi nel 2024. Ma nel triennio 2022-2024 si sono avute sorprese positive sulle entrate perché vi è stato un rimbalzo di pil inatteso e perché l’inflazione ha gonfiato il fiscal drag, eppure per prudenza si metteva a bilancio una stima di incremento di entrate del 30 per cento inferiore rispetto a quella di quest’anno. Ma non è detto che la crescita di occupazione continui e si stabilizzi in futuro. Se nel 2025 va male, non si potrà dire che è colpa del ciclo  divenuto negativo: è il governo che ha imprudentemente scritto che sarebbe andato bene come negli anni passati.

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