La Bce vede i rischi di una crisi in Europa

Luciano Capone

L'Eurotower molto preoccupata per la vulnerabilità economica del continente, dovuta alla bassa crescita (leggi Germania) e ai deboli fondamentali fiscali (leggi Francia) che sollevano preoccupazioni per i paesi ad alto debito (leggi Italia)

Rudi Dornbusch, economista del Mit scomparso prematuramente, diceva che le crisi finanziarie impiegano molto più tempo ad arrivare di quanto si pensi, ma  poi si verificano molto più velocemente di quanto si potesse pensare. È quindi facile individuare le condizioni che possono provocare una crisi, ma è molto difficile prevedere quando si scatenerà. La Bce, nella Financial Stability Review, avvisa l’Europa che la sua economia è sempre più vulnerabile di fronte a una tempesta finanziaria. C’è insomma il rischio di una nuova crisi del debito se l’Eurozona non rafforza la crescita, riduce il debito pubblico e affronta l’instabilità politica: “L’accresciuta incertezza geopolitica, i deboli fondamentali fiscali e la lenta crescita tendenziale sollevano preoccupazioni sulla sostenibilità del debito sovrano in alcuni paesi dell’area dell’euro”.

Tra questi paesi c’è ovviamente  l’Italia che, secondo le previsioni, nel 2028 avrà il debito più alto d’Europa. Il debito italiano è previsto in crescita nei prossimi anni, nonostante una politica di aggiustamento fiscale, per via dell’eredità del Superbonus che pesa per circa 40 miliardi di euro l’anno, quest’anno e nei prossimi. Così, nel giro di qualche anno, il debito pubblico italiano in rapporto al pil supererà quello della Grecia, che è in forte riduzione. Nonostante questa situazione, l’Italia – e più in generale i paesi periferici che furono il centro della crisi del 2011 – non è una fonte di instabilità. I rendimenti dei titoli di stato sono sotto controllo e non si registra un ampliamento degli spread, men che meno ai livelli di un decennio fa.

Le preoccupazioni arrivano principalmente da due paesi, per due ragioni diverse e per certi versi opposte. Da un lato c’è la Germania, il cui motore produttivo si è inceppato, rallentando la crescita in tutto il blocco continentale (come è facile constatare anche dal rallentamento dell’economia italiana). Berlino, a differenza di altri paesi, ha  lo spazio fiscale per fare investimenti e stimolare la domanda. “Lo spazio fiscale c’è – ha detto il vicepresidente della Bce Luis de Guindos – e questo è in netto contrasto con altri paesi”. Ciò che manca è la volontà politica (ma questo De Guindos non lo ha detto), visti i limiti costituzionali  e culturali contro il debito  diffusi in Germania. Naturalmente lo stallo è anche il prodotto della crisi politica che ha travolto il governo semaforo di Olaf Scholz e che, in qualche modo, si risolverà con le elezioni anticipate a febbraio 2025. 

Ma le preoccupazioni principali degli investitori riguardano soprattutto la Francia, come dimostra l’andamento dello spread francese che negli ultimi mesi ha superato quello spagnolo. Il problema a Parigi è simile a Berlino sul piano politico: la debolezza del governo Barnier, senza una maggioranza parlamentare, che è l’esito della  vittoria delle ali estreme su Emmanuel Macron alle elezioni europee e poi a quelle legislative. Ma è opposto sul piano fiscale. La situazione finanziaria della Francia è preoccupante per un deficit che ha superato il 6% (ben oltre le previsioni del 5%) e un debito pubblico che supera il 110% ed è previsto in aumento nei prossimi anni.

Il governo Barnier ha impostato una manovra da 60 miliardi, composta per un terzo di aumenti di tasse e due terzi di tagli alla spesa.  Per quanto duro e contestato, il piano di aggiustamento della Francia è più lento rispetto a quanto richiesto dalla Commissione Ue: invece che entro il 2027, il rientro sotto il 3% del deficit è rinviato al 2029. Politicamente, il governo Barnier è sotto lo schiaffo di Marine Le Pen, che minaccia una mozione di censura contro il governo: se ai voti della destra si sommassero quelli della sinistra del Nuovo fronte popolare, la legge di Bilancio verrebbe bocciata e il governo di minoranza di Barnier, appoggiato da repubblicani e macronisti, verrebbe rovesciato. Alle fragilità  interne dell’Europa, si aggiungono le incertezze geopolitiche: le guerre in Ucraina e medio oriente, oltre all’imprevedibile politica fiscale e commerciale dell’Amministrazione Trump negli Stati Uniti.

L’Italia ha con Giorgia Meloni un governo più stabile che, con Giancarlo Giorgetti, ha impostato una politica fiscale accorta, in linea con le richieste della Commissione Ue, ma il debito pubblico alto l’espone comunque ai rischi. Come ha ricordato De Guindos i costi di finanziamento dei paesi con un debito superiore al 100% del pil “si sono ampliati notevolmente durante i recenti episodi di volatilità dei mercati finanziari”. Insomma, se si inceppa il motore franco-tedesco è un problema serio anche per noi.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali