Europa, fa' presto!
Vertice italo-franco-tedesco: le ricette degli industriali contro il rischio del declino
Si è concluso ieri il trilaterale fra le maggiori associazioni industriali d’Europa sulla pesante crisi di competitività che spinge sempre più al ribasso la crescita. Non basta lo sforzo di Bruxelles: devono essere i singoli governi a cooperare
Non è più tempo di limitarsi a riconoscere i gap accumulati, ma di affrontare il rischio sempre più grave della deindustrializzazione e del declino dell’Europa”. Parole testuali dalla bozza di documento conclusivo della trilaterale fra le tre maggiori associazioni industriali d’Europa, Confindustria, il Medef francese e la Bdi tedesca, vertice iniziato a porte chiuse giovedì a Parigi e che si è concluso ieri mattina. Sulla pesante crisi di competitività che spinge sempre più al ribasso la crescita europea, gli industriali hanno le idee più chiare dei politici. Da due anni, i vertici trilaterali hanno espresso allarmi crescenti.
Rimasti per lo più inascoltati. Ora che la temuta crisi di intere filiere industriali si espande in tutto il cuore industriale europeo, l’allarme degli industriali diventa un vero e proprio altolà. O la nuova Commissione europea, nei primi cento giorni dalla sua entrata in carica, dimostra a mercati e governi europei di essere pronta a un risoluto cambio di marcia, oppure la crisi non potrà che peggiorare. I diversi aspetti di questa svolta necessaria sono stati al centro dei panel che le tre associazioni industriali hanno tenuto con interventi del premier francese Michel Barnier, del ministro francese dell’Economia e dell’Industria Antoine Armand, del ministro tedesco Bernhard Kluttig e per l’Italia di Antonio Tajani e Adolfo Urso. Ai panel, presenti anche figure tecniche apicali della Commissione e della Bei, nonché numerosi esponenti di aziende europee oltre che della presidenza delle tre Confindustrie. Le proposte avanzate dalle tre Confindustrie sono estremamente concrete. Tutte e quattro da finalizzare tenendo a mente un presupposto: bisogna avviare un preciso programma annuale di recupero dei gap verso gli Usa. Se guardiamo al pil pro capite, quello negli States dal 2010 a oggi è passato da 48.374 dollari a 85.373, quello nella Ue da 32.966 a 42.443. Con l’avvio dell’Amministrazione Trump, fra tagli delle tasse alle imprese, massiccia deregulation e dazi anche sui manufatti europei, l’afflusso di nuovi capitali verso gli Usa può rendere ancora più devastante il nostro ritardo nelle tecnologie di punta, sulle grandi piattaforme del web e sull’Intelligenza artificiale.
Il primo grande blocco di proposte degli industriali riguarda il Green Deal: la nuova Commissione deve abbracciare a trecentosessanta gradi la neutralità delle tecnologie per ridurre le emissioni, abbandonare la scelta dirigista dall’alto avvenuta con il bando totale al motore endotermico. Tutte le tecnologie e i carburanti a basse emissioni devono essere autorizzati. Bisogna riformare gli Ets, che Usa e Asia non adottano e che stanno duramente penalizzando le industrie energivore europee. Bisogna rivedere il Cbam che rischia di tradursi in nuovi aggravi di costi per l’industria europea, invece di tutelarla dalle produzioni ad alte emissioni extra Ue.
Un secondo grande blocco di proposte indica la necessità di una profonda deregulation anche in Europa. Dal 2019 l’Europa ha emanato circa 13 mila atti normativi, gli Usa 3.000 che saranno oggi ulteriormente disboscati. Tutto ciò implica la necessaria revisione di un corpo molto rilevante di direttive e regolamenti ad alto impatto sull’industria, che addossano alle imprese oneri finanziari e amministrativi totalmente sconosciuti alle imprese americane e cinesi.
Il terzo blocco riguarda la necessità di recuperare il terreno perduto negli investimenti in ricerca e sviluppo di nuove tecnologie. In un anno, bisogna passare dal 2,2 per cento di pil Ue destinato a tal fine ad almeno il 3 per cento, continuando poi ad accrescerlo visto che gli Usa si avviano verso il 4 per cento del proprio pil. E per incentivare le filiere industriali a investire in questa direzione, che non si realizza con la mano pubblica ma con agevolazioni a investimenti privati, è necessario sgravarli dai sovraccosti energetici e di compliance che oggi ne abbattono i margini e ne riducono la capacitò d’investimento.
Infine, quarto blocco, occorre al più presto – “entro un anno” – l’Unione bancaria e il mercato unico dei capitali, vincendo la resistenza dei regolatori nazionali che ne difendono la segmentazione. Altrimenti, continueremo a riversare in investimenti verso gli Usa 330 miliardi l’anno di risparmi europei. E senza il pilatro dei capitali privati, non saremo mai in grado di rispondere alla sfida lanciata da Draghi sulla necessità di destinare 800 miliardi di euro l’anno per recuperare i gap e realizzare le transizioni. Per questa nuova cornice comune finanziaria volta a competitività e innovazione non basta Bruxelles, devono essere i maggiori governi a cooperare insieme. Senza questa svolta radicale, conclude il documento, ci aspetta un secolo perduto, invece di stabilità, prosperità e innovazione per generazioni a venire. La domanda è una sola: la crisi politica in cui si dibatte l’Europa è capace di fare tutto questo?