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dis-unione dei capitali

Per un'industria finanziaria europea all'altezza di quella americana bisogna aggregarsi

Lorenzo Bini Smaghi

Le dimensioni contano. l’Unione europea ha complessivamente 33 trilioni di euro di risparmi, che non vengono però indirizzati verso investimenti strategicamente rilevanti per il continente. La politica che rende l’Europa preda della finanza Usa 

Uno dei principali problemi cui devono far fronte i paesi europei è quello di non riuscire a mobilitare l’enorme risparmio di cui dispongono per finanziare investimenti e creare occupazione sul loro territorio. Come ricorda il rapporto di Enrico Letta pubblicato lo scorso aprile, l’Unione europea ha complessivamente 33 trilioni di euro di risparmi, che non vengono però indirizzati verso investimenti strategicamente rilevanti per il continente. Una parte rilevante di questi risparmi esce dall’Europa, soprattutto a favore degli Stati Uniti.

 

Per cambiare la situazione, e accrescere la capacità dell’Unione e dei singoli paesi, di finanziare il proprio sviluppo, è stato proposto di creare un’unione di risparmio e di investimenti a livello europeo – denominata unione dei mercati dei capitali. Il problema è che le decisioni che i governi nazionali o i regolatori europei prendono ogni giorno vanno esattamente nella direzione opposta, spingendo il risparmio fuori dal territorio europeo.

 

Il motivo di questa contraddizione si trova nell’incapacità politica di capire due aspetti fondamentali del sistema finanziario. Il primo è che il mercato europeo del risparmio e degli investimenti è oramai integrato a livello globale – nel senso che ciascun risparmiatore e investitore può accedere a strumenti finanziari che gli vengono offerti da operatori di tutto il mondo, in base alla loro convenienza. Il secondo è che, come in tutti gli altri mercati, tendono a prevalere le imprese più grandi e più redditizie.

 

Nell’intermediazione finanziaria la dimensione è importante perché consente di far emergere le economie di scala, non solo per quel che riguarda i costi ma anche per l’utilizzo della tecnologia, la diversificazione dell’offerta, la commercializzazione dei prodotti distribuiti, la ricerca messa a disposizione dei clienti. Ciò si applica sia dal lato dell’offerta di prodotti di risparmio sia di quello degli strumenti di finanziamento. Più grande è la banca o il fondo d’investimento, più risorse può mettere a disposizione dei propri clienti, maggiori sono i servizi di gestione del rischio e di progettazione, più risorse possono essere usate per sviluppare la piattaforma digitale, più diffusa è la rete di distribuzione, più ampio è l’accesso ai mercati e più approfondita è l’analisi sottostante all’offerta di prodotti per venire incontro alle necessità dei clienti. 

 

La dimensione dipende, in ultima istanza, dalla redditività e dalla capacità di generare capitale per crescere ed entrare in nuovi mercati.

 

Il mercato finanziario europeo è dominato, nella maggior parte dei segmenti, da operatori non continentali, soprattutto americani. Ciò si applica non solo alle banche d’investimento ma anche ai fondi di private equity, di private credit, ai fondi di risparmio gestito, ai fondi speculativi. La maggior profittabilità del mercato americano ha consentito agli operatori di quel paese di espandersi e occupare posizioni dominanti sul mercato europeo.

 

Gli intermediari europei sono rimasti più piccoli e hanno perso quote di mercato soprattutto perché le autorità politiche e i regolatori hanno ostacolato, in modo più o meno palese, le aggregazioni. Hanno altresì scoraggiato lo sviluppo del settore con tassazioni straordinarie – su profitti considerati eccessivi – e imponendo regole stringenti senza alcun riferimento alla competitività del settore rispetto al resto del mondo. 

 

Il risultato di queste decisioni è che la gestione del risparmio europeo è in larga parte demandato ad istituzioni finanziarie americane, mentre gli operatori europei tendono a svolgere un ruolo di comprimario. Di fatto, nessun finanziamento strategico, di dimensioni rilevanti, può essere portato avanti in Europa senza la partecipazione di primarie istituzioni statunitensi. Un esempio: la scissione della rete di Tim, venduta a un fondo americano con il sostegno finanziario capitanato da banche statunitensi, a condizioni decise da questi ultimi. Le istituzioni europee sono troppo piccole per poter strutturare tali operazioni.

 

Non ci si deve dunque meravigliare se il risparmio europeo viene gestito in base a criteri di selezione e allocazione delle risorse che non corrispondono necessariamente agli obiettivi strategici europei. Non ci si deve però nascondere che questo è il risultato di scelte politiche mirate a mantenere in Europa aziende finanziarie di piccole dimensioni, forse con l’illusione di poterle meglio controllare, con la scusa del radicamento locale, ma che in realtà distribuiscono principalmente strumenti di risparmio prodotti all’estero.

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