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la crisi del gruppo

Le strategie di Elkann per Stellantis portano in Francia o negli Stati Uniti

Stefano Cingolani

Per sostituire l'ex amministratore delegato Carlos Tavares si cerca un nuovo top manager che potrebbe arrivare da oltre l'Atlantico. Elon Musk per adesso resta solo una suggestione, ma il suo nome riporterebbe in alto il titolo dell'azienda

A destra e a sinistra è tutto un giubilare per la resa di Carlos Tavares. Ma è troppo presto per stappare champagne: a prescindere da chi guiderà il gruppo Stellantis e ovunque lo porterà nel prossimo futuro, il milione e rotti di auto made in Italy resterà una speranza, forse un sogno. Interpretando i segnali che arrivano dall’alto, come si suol dire, il dopo Tavares porterà verso ben altri lidi, forse in Europa, ma meglio ancora oltre Atlantico, con General Motors, con Ford o, magari, persino con Elon Musk. Dagli Stati Uniti proviene già la metà del fatturato e nel frattempo è tornato Donald Trump con i suoi dazi e la sua avversione verso le auto europee, quelle tedesche in primo luogo, ma anche quelle francesi o italiane (per non parlare delle vetture assemblate in Messico o in Canada). Una cosa sembra certa: Stellantis non resterà così com’è; di un nuovo matrimonio si parlava già da tempo, adesso più che mai. La prima domanda da farsi è come mai la successione prenderà addirittura sei mesi. Che la testa del manager portoghese stesse già vacillando lo si era capito da tempo, in particolare da quando domenica 29 settembre il consiglio di amministrazione aveva avviato la ricerca di un nuovo capo azienda anche se il contratto di Tavares scadeva nel 2026.

 

Le ragioni sono diverse, la più ovvia è che il sostituto ancora non c’è perché il tracollo di questo 2024 implica che il nome sia conseguenza della strategia la quale richiede che i grandi soci trovino una intesa. Bisogna innanzitutto attendere che alla guida della famiglia Peugeot, azionista con il 7,2 per cento (ma può salire fino all’8,5), si insedi con Edouard, figlio di Robert, la nona generazione e questo avverrà solo il prossimo anno. Le cose non sono andate molto bene per l’antica famiglia che cominciò con i macinapepe e le biciclette: secondo l’Echos, la società ha registrato un passivo di oltre 320 milioni di euro, dovuto in gran parte agli investimenti in Signa, Ynsect e Orpea. Inoltre c’è l’incognita politica francese: lo stato possiede il 6,2 per cento delle azioni con la banca pubblica Bpifrance. Il governo parigino vedeva con favore un accordo con la Renault, ma c’è da chiedersi quale governo ci sarà dopo l’ordalia del bilancio pubblico.

John Elkann sostiene che con la Renault sarebbe come mettere insieme due debolezze e guarda altrove, in particolare oltre Atlantico. L’erede Agnelli, con un gesto forse inevitabile visto che è il primo azionista (possiede il 14,4 per cento), ma comunque da apprezzare, si è assunto la piena responsabilità della gestione e della ricerca di un nuovo top manager. Sarà lui a guidare lo speciale comitato per la transizione, sarà direttamente lui, dunque, a interloquire con i sindacati, i partiti e le istituzioni politiche: con un gesto inusuale ha avvisato il presidente Sergio Mattarella e Giorgia Meloni prima che uscisse il comunicato ufficiale, forse si presenterà in Parlamento come molti chiedono.

 

Se non Renault, chi sarà? In Europa avrebbe senso industriale un accordo con la Mercedes o la Bmw che consentirebbe di acquisire una fascia di mercato, quella più ricca, nella quale nessuno dei marchi Stellantis è davvero forte. Ma di nuovo sarebbe una scelta eurocentrica, le due case tedesche negli Stati Uniti sono apprezzate, ma da una nicchia di lusso. La Ford ha scelto di andare avanti da sola anche dopo la grande crisi del 2008 che ha portato la Chrysler nelle braccia di Sergio Marchionne senza pagare nemmeno un cent come disse lo stesso manager italo-americano. Inoltre ci sarebbero molte sovrapposizioni in Europa con i modelli della fascia media, negli Stati Uniti nel mercato più consistente, quello dei pick-up e grandi Suv: chi potrebbe vincere la gara tra Ranger, Ram, Dodge o Jeep? Con la General Motors la Fiat aveva stretto un accordo durato cinque anni e costato due miliardi di dollari alla Gm che in Europa si è poi liberata anche della Opel (venduta alla Peugeot appunto). Marchionne quando era sulla cresta voleva scalare il colosso americano, oggi Stellantis si presenterebbe non come compratore, ma come comprato. In ogni caso la storia e la cultura aziendale della Gm, una sorta di vasta confederazione di marchi, consentirebbero di collocare meglio Peugeot, Fiat, Citroën, mentre Mary Barra, la potente super manager che disse di no a Marchionne, si prenderebbe una rivincita.

 

Se questo è lo scenario, il totonomine è prematuro. Elkann stima Jean-Philippe Imparato che sta cercando di rilanciare l’Alfa Romeo. Dal côté francese si parla bene di Olivier François che guida Fiat e Abarth, se andasse in porto l’accordo con Renault ci sarebbe Luca De Meo, ma un presidente e un ad italiani sbilancerebbero il Cencelli multinazionale. Così come se rientrasse Alfredo Altavilla, oggi consigliere della cinese Byd. Potrebbe tornare l’inglese Mike Manley numero due con Marchionne, tra i manager esterni c’è Roy Jakobs capo azienda alla Philips della quale Exor è primo azionista. E cosa c’entra Musk a parte i suoi buoni rapporti con Elkann e (finché dura) con Trump? E’ poco più che una suggestione, ma la Tesla, campione dell’elettrico, ha dato il massimo, mentre il pimpantissimo innovatore/distruttore punta su spazio e telecomunicazioni, ha scoperto la politica e vedremo per quanto la sfrutterà. Un Musk azionista riporterebbe in alto il titolo Stellantis, sarebbe una grande operazione d’immagine, metterebbe un chip sul futuro anche delle auto elettriche.