Tassi e inflazione
La Bce è pronta a un nuovo taglio dei tassi, ma il quadro economico europeo resta assai incerto
L’economia dell'Ue si è deteriorata rispetto all’estate scorsa: è importante che la Bce non sbagli diagnosi e che contribuisca a fare chiarezza sull'andamento dell'inflazione e sulla scelta di mantenere un approccio restrittivo alla politica monetaria
Appare ormai scontata la decisione della Bce di ridurre i tassi d’interesse, giovedì prossimo, in occasione dell’ultima riunione di quest’anno. L’unica incertezza riguarda l’entità del taglio, 25 o 50 punti base. A guidare la decisione saranno le nuove previsioni economiche, che verranno rese note in quell’occasione, in particolare per quel che riguarda l’inflazione e la crescita. Nel settembre scorso si prevedeva – in base all’ipotesi di graduale riduzione dei tassi d’interesse – una progressiva ripresa in Europa, con una crescita che dovrebbe passare dallo 0,8 per cento nell’anno in corso all’1,3 nel 2025 e l’1,5 nel 2026.
L’inflazione era prevista scendere in media annua dal 2,5 per cento di quest’anno al 2,2 il prossimo e il 2 nel 2026. Se il nuovo scenario rivedrà al ribasso il sentiero di crescita economica e il percorso di rientro dall’inflazione, la decisione potrebbe propendere per un taglio più deciso, di 50 punti. Anche se non ci si deve aspettare grandi differenze nelle previsioni fatte a distanza di soli tre mesi, non c’è dubbio che la situazione dell’economia europea si è deteriorata rispetto all’estate scorsa. I vari indicatori che misurano le aspettative degli operatori sono peggiorati, sia nel settore dei servizi sia in quello manifatturiero. A ciò si aggiungono le incertezze politiche in vari paesi europei, tra cui un nuovo governo senza maggioranza parlamentare in Francia e le elezioni in Germania. Inoltre, l’elezione di Trump ha aumentato le probabilità di tensioni commerciali tra le principali aree, con effetti potenzialmente negativi sulle esportazioni europee.
Nelle ultime settimane questi fattori di debolezza si sono tradotti sui mercati finanziari in un deprezzamento dell’euro e una riduzione delle aspettative sui tassi d’interesse. Rispetto a questa estate, l’euro ha perso circa il 6 per cento nei confronti del dollaro; i tassi a lungo termine tedeschi sono scesi di oltre 50 punti, quelli italiani di 100. In questo contesto, è importante che la Bce non sbagli diagnosi e che contribuisca a fare chiarezza su almeno due aspetti che riguardano il modo in cui comunica le sue decisioni di politica monetaria.
Il primo riguarda la riduzione dell’inflazione. Fino a qualche giorno fa, alcuni esponenti della Bce ripetevano il messaggio secondo cui “la battaglia contro l’inflazione non è ancora vinta”, o che “non abbiamo ancora rotto il collo all’inflazione”. Non è chiara l’evidenza sottostante a tali affermazioni, visto che le previsioni di tutte le istituzioni internazionali, Bce inclusa, indicano un tasso d’inflazione oramai prossimo al 2 per cento nei prossimi due anni. L’ultimo dato di novembre è lievemente superiore, ma per fattori temporanei che dovrebbero rientrare nei prossimi mesi. Inoltre, le aspettative d’inflazione sono ben ancorate al 2 per cento. E’ vero che nel comparto dei servizi l’inflazione è leggermente più elevata, ma ciò è dovuto alla maggior lentezza di aggiustamento. Sebbene i salari aumentino a un ritmo superiore al due per cento, vi è evidenza che le imprese stiano assorbendo tali rincari attraverso una compressione dei profitti, senza ripercussioni sui prezzi.
Il secondo aspetto di comunicazione poco chiara riguarda l’affermazione secondo cui sia necessario, nella fase attuale, mantenere una impostazione restrittiva della politica monetaria. Non si capisce quali siano i motivi che giustificano tale restrizione, soprattutto in una fase nella quale l’inflazione si sta riducendo e la crescita economica è inferiore al potenziale di medio periodo. Inoltre, il messaggio appare contraddire l’altro, della stessa Banca centrale, secondo cui “il processo di disinflazione è sulla buona strada”. Non è chiaro, infine, quali condizioni debbano essere soddisfatte affinché la politica monetaria possa uscire dalla fase restrittiva per passare a una impostazione neutrale o accomodante.
Questi elementi di comunicazione non solo creano confusione presso gli operatori, ma aggiungono incertezza a uno scenario europeo e internazionale già complicato. Danno inoltre l’impressione che la Banca centrale continui a basare le proprie decisioni su dati puntuali, pubblicati mese dopo mese, in particolare sull’inflazione, dimenticandosi che la politica monetaria produce i suoi effetti con un ritardo medio di oltre un anno. Nel contesto attuale, continuare ad affermare che le decisioni del comitato direttivo della Bce dipendono dai dati (“data dependency”) appare come minimo ridondante, al peggio fuorviante.