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L'editoriale dell'Elefantino

Elogio del debito, che si ripaga con la crescita e produce stabilità

Giuliano Ferrara

Dalle élite della Prima Repubblica a Draghi: un nuovo paradigma vecchissimo. Risparmiare e tenere i conti pubblici in ordine in certi momenti è necessario, certo, ma solo per tornare a indebitarsi meglio 

Il prof dell’agenda omonima, il fortissimo Francesco Giavazzi, ha fatto nel Corriere di sabato l’elogio del debito pubblico in casa dei tedeschi. Grande giorno e vendetta, tremenda vendetta, per le classi dirigenti dell’Italia che fu e che è e che sarà. Non sto a dilungarmi, per incompetenza, sulle motivazioni di questa ramanzina a chi risparmia incautamente sulla spesa pubblica: la difesa, cosa seria anzi serissima, quella gran cazzata necessaria che è la famosa transizione energetica (intanto bisognerebbe rivalutare il diesel), la spesa per i grandi servizi pubblici dalla sanità alla previdenza, e ovviamente la spesa per investimenti e innovazione. Le teste d’uovo, cioè le teste pensanti, di cui Mario Draghi è l’alfiere incontestato, hanno registrato il passaggio di fase, smantellando anche la balla del peso del debito sui posteri, entità inesistente, durante l’epidemia da Covid. Hanno detto e spinto a fare le cose giuste in nome del debito buono, che poi è il debito tout court.

    

Non bisogna esagerare, ci sarà sempre un problema di affidabilità, ma l’Europa a trazione ex tedesca deve diventare non un freno al debito, ormai una bestemmia, ma un soggetto capace di indebitamento comune nei settori vitali della sua esistenza

       

Il debito compra il tempo e si ripaga con la crescita e gli effetti di stabilizzazione sociale e politica che produce. Ammetterlo, e anzi invocare questa ragionevolezza in relazione all’Europa dei mercati e delle compatibilità, è un nuovo paradigma vecchissimo, conosciuto usato e abusato dalle élite italiane della Prima Repubblica e al quale gli usufruttuari del 110 per cento dovrebbe offrire sacrifici magici invece delle loro scipite giaculatorie propagandistiche. Quando si sente in tv un parlamentare della maggioranza ripetere a macchinetta che “la sinistra ci ha dato il 110 per cento e noi restituiamo crescita e occupazione”, inverosimile balla visto che il riscatto dell’edilizia e il rilancio dell’economia dopo il crollo sono stati possibili essenzialmente in virtù di quella genialata, bisognerebbe incendiare il video di sdegno, raccapriccio, irrisione: tutti furono d’accordo, non si poteva né doveva fare altrimenti, punto. Gli americani vanno in carrozza, sia con Biden sia con Trump (ma qui con molti rischi), per l’enormità del debito federale e del sistema di incentivi che in confronto il 110 per cento è piccola cosa. Fu anche dimostrato che le grandi virtù e i progressi della tecnologia avanzata sono stati il prodotto del debito pubblico contratto per renderli possibili, la globalizzazione democratica è figlia anche del debito, telefonino compreso.

       

Lo stato si abbatte e non si cambia. Per evitare questa soluzione anarchica, che è il contrario del neoliberismo sfrenato, l’argine è il debito ben impiegato, ben costruito, coraggioso, indirizzato nel senso giusto. Il debito lapiriano, fanfaniano, andreottiano, sindacale. L’argentino Milei funzionicchia, pare, e bisogna essere contenti dell’inflazione ridotta e di molte altre cose, ma vedrete che sarà anche il debito pubblico l’estrema risorsa dell’anarcoliberismo di Buenos Aires. Il ministro Giorgetti è uomo di mondo e ha sufficiente senso dell’ironia per capire che davanti al suo ministero, gravato dal monumento a Quintino Sella e dalla sua ombra, una moderna installazione a debito, in oro massiccio, dovrebbe essere dedicata a Paolo Cirino Pomicino. Risparmiare e tenere i conti in ordine in certi momenti è necessario, certo, ma solo per tornare a indebitarsi meglio. Questa è la nuova lezione da imparare, anche per noi che non siamo ferrati in matematica ma solo in quella pseudoscienza che è la politica.  

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.