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Un piano organico per sostenere l'auto europea. Parla Gianni Bulgari

Stefano Cingolani

Per abbattere l’inquinamento si possono seguire molte strade, non solo il tutto elettrico. Il costo di produrre auto in Italia e ciò che si può fare per rilanciare il settore

Dice ai sindacati Jean-Philippe Imparato, capo di Stellantis per l’Europa, e intende ripeterlo martedì al ministro Adolfo Urso: “Sono ossessionato dal mantenere l’attività in Italia, punto centrale della nostra strategia”. Aveva detto Carlos Tavares: se produco in Italia devo aggiungere 10 mila euro al prezzo di vendita. E’ cambiato qualcosa da quando il manager franco-portoghese se ne è andato? Evidentemente no, il nocciolo duro di una crisi che l’anno prossimo può diventare catastrofica resta lo stesso. Gianni Bulgari non nasconde al Foglio la sua preoccupazione, si fa molte domande e le gira non solo ai vertici di Stellantis, ma ai sindacati e al governo. Come mai questo divario? Solo perché l’energia è più cara del 50 per cento rispetto ad altri paesi europei come la Spagna? Oppure gli impianti sono troppo vecchi e vanno rifatti? Ci sono pochi incentivi statali? I salari italiani sono più alti rispetto alla Polonia, certo non alla Spagna o alla Francia. Bisogna, dunque, trovare una soluzione per ridurre il gap. 

 

Ex presidente e direttore creativo dell’azienda di gioielleria, nipote del fondatore, il gioielliere Sotirio Voulgaris di origine greca, dalla fine degli anni 80 Gianni Bulgari ha coltivato altre passioni e affrontato nuove sfide, dalla moda agli orologi che disegna e produce, dalle moto (la Guzzi) alle auto (ha partecipato a rally e alla Targa Florio e alla fine degli anni 80 ha sviluppato un avveniristico prototipo insieme alla Lotus). Anche se possiede solo due vetture molto normali e ormai agée, l’automobile resta un suo antico amore, segue in modo puntiglioso le notizie e si informa sull’andamento del mercato in Italia e nel mondo. Ha conosciuto i big boss della Volkswagen, il manager Carl Hahn e Ferdinand Piëch nipote di Ferdinand Porsche, gli uomini che hanno portato “l’auto del popolo” in cima al mondo. Ha frequentato i fratelli Agnelli, è stato più vicino a Umberto che a Gianni il quale, ci dice, non capiva nulla di automobili. Ora non si dà pace per il vero e proprio collasso dell’auto made in Italy che rischia di scomparire.

   

“Perché hanno smesso di produrre la Lancia Ypsilon, la seconda vettura più venduta in Italia? E l’Alfa Romeo come mai è stata snaturata?” si chiede. E’ molto critico su Stellantis e sul suo presidente John Elkann. “Come si fa a lasciare un grande gruppo in crisi tanto profonda senza capo azienda per sei mesi?”. E’ vero che Elkann ha preso la croce sulle sue spalle. “Ma a lui l’auto – insiste – non interessa veramente, proprio come a suo nonno che ha più volte cercato di liberarsene”. Bulgari racconta di quando l’Avvocato si rivolse all’allora presidente dell’Iri Giuseppe Petrilli per collocare la Fiat nelle partecipazioni statali. Era il 1978. Poi ci fu la resa dei conti con i sindacati e cominciò l’era Romiti, anche lui più appassionato di finanza (e di politica) che di quattro ruote. “Il sogno degli Agnelli è sempre stato diventare come i Rothschild”, aggiunge. E’ quel che vuol realizzare John Elkann con la Exor, già oggi una grande holding finanziaria sempre più diversificata (la moda, il lusso, i giornali, e adesso la Philips diventata un colosso nelle tecnologie per la salute). 

   

L’automobile italiana non va abbandonata, va sostenuta, insiste Bulgari, con la consapevolezza che si trova al centro di una crisi strutturale soprattutto in Europa. Ora la Ue sembra avviata verso un approccio pragmatico, il commissario Stéphane Séjourné ha parlato di uno choc alla domanda di nuove vetture. Ci vuole un vero e proprio piano organico come accadde negli anni 80 con l’acciaio. Bisogna abbattere l’inquinamento, però si possono seguire molte strade, non solo il tutto elettrico, aggiunge Bulgari, il quale suggerisce un approccio dal basso. Per esempio i biocarburanti. “I tedeschi hanno fatto due guerre senza petrolio, con la benzina sintetica”, ricorda. In Europa circolano più di 400 milioni di vetture, quante di loro sono Euro6? Molto poche. “Perché non avviare una sorta di pulizia spingendo i consumatori a comprare auto più pulite, a prescindere se a motore endotermico o elettrico?”. Insomma una rottamazione su scala continentale. Una strategia che in Italia aveva dato i suoi frutti. Gli incentivi debbono essere consistenti e questo naturalmente pesa sui bilanci dei singoli governi. Per questo occorre che l’intervento sia europeo fino in fondo, tenendo conto che l’auto resta il pilastro della industria nel vecchio continente. 
“Molti guardano solo alla fase finale e non si rendono conto che il 70 per cento di una vettura è fatto di componenti che provengono da una miriade di imprese. Proprio la capacità di gestire le subforniture è una chiave fondamentale per il successo. Ricordo che Piëch aveva una mappa meticolosa di tutti i fornitori e dedicava loro un’attenzione continua”. Tornando a Stellantis, Bulgari non ha una cattiva opinione di Tavares, un manager che veniva dalla Renault e ha salvato la Peugeot. Ma è rimasto troppo dipendente dal modello Peugeot che ha voluto applicare ovunque, non solo in Italia. Certo, non ha capito il mercato americano che si muove su un altro piano, con una mentalità diversa. Il ritardo nel varare la nuova Jeep è stato interpretato come un chiaro segno di difficoltà e ha punito Stellantis. 

   

“Le auto made in Usa fino agli anni 70 erano al top. Bisognerebbe recuperarne lo spirito”, sospira Bulgari. Sarà difficile, oggi che l’auto è entrata nell’era Musk. “Stia attento che non è più il numero uno, la Tesla è stata superata dalla Byd”, precisa Bulgari secondo il quale c’è il rischio bolla, non si capisce come faccia a capitalizzare oltre mille miliardi di dollari un’azienda che produce meno di 2 milioni di vetture. “La bolla può scoppiare da un momento all’altro, senza preavviso. Pensi alla Lehman Brothers, quando è saltata non riuscivo a crederci”. Forse la conversione politica di Musk serve da paracadute? Così come lo stretto legame con la Cina da dove proviene il 50 per cento della Tesla e dove ha ottenuto una gran quantità di aiuti e favori. In Italia sarà difficile produrre un milione di vetture come chiede il governo, una quota già di per sé inferiore alla capacità produttiva esistente. Bulgari insiste sul fattore costo di produzione. E’ lì che si deve agire, finché non viene ridotto quel divario, ogni promessa dei manager Stellantis rischia di restare flatus vocis.

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