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Messaggio per Calderone: cosa non serve fare per alzare i salari

Marco Leonardi

Lavorare sui rinnovi contrattuali, restituire il fiscal drag, e rafforzare i settori aziendali più deboli. Tutto ciò su cui il governo dovrebbe puntare invece di varare leggi che indeboliscono ancora di più la contrattazione sindacale

Il ministro del Lavoro, Marina Calderone, dice che serve una legge sulla rappresentanza sindacale per alzare i salari. Giusto, ma questo non risolverà il problema dell'assenza di un salario minimo legale e, comunque, lei sta facendo il contrario, sta cercando di indebolire il sistema di contrattazione sindacale. Per capire cosa si può fare per alzare i salari, partiamo da alcuni rinnovi contrattuali (Ccnl) del 2024 per il triennio a venire presi dal bollettino del Diario del Lavoro, una rivista specializzata. Metalmeccanici del settore artigiano, 500 mila addetti, 122 mila imprese, aumento a regime di 216 euro mensili, pari al 14,8 per cento, praticamente supera l’inflazione. Tessile abbigliamento, aumento di 232 euro, pari al 13 per cento. Poste, 120 mila addetti, 230 euro di aumento, più una tantum da 1.000 euro il 2024.

  
Escludendo il record delle banche che hanno ottenuto 435 euro al mese, l’aumento medio di questa stagione è di 200-230 euro mensili. Non ci sono più ritardi significativi. Il contratto dei metalmeccanici (1.6 milioni di addetti) si chiuderà nell’anno nuovo, per ora c’è una grossa differenza tra le richieste di 280 euro mensili e le disponibilità di 173. Sembra andare tutto bene, ma allora perché i salari non crescono? Prima di tutto, anche i lavoratori coperti dalla contrattazione non recuperano il fiscal drag: anche se il rinnovo compensa per l’inflazione, nel frattempo il carico fiscale aumenta più che proporzionalmente e l’erario ci guadagna in termini di imposte (17 miliardi negli ultimi anni) di drenaggio fiscale. Il governo non ha mai pensato di restituire il fiscal drag, ma dovrebbe. Poi, nel settore dei servizi dove ci sono le aziende più deboli, gli aumenti sono minori perché la contrattazione nazionale deve stabilire un minimo comun denominatore per proteggere le aziende più deboli tra nord e sud. Ci vorrebbe più contrattazione aziendale basata sulla divisione degli utili, ma è impossibile in un mondo di imprese che al 95 per cento sono sotto i 10 dipendenti. 

 

                                

Le ragioni dei bassi salari sono strutturali e difficili da influenzare: bassa produttività, struttura industriale, dimensione d’impresa. Molto altro, però, ha origini istituzionali. Per tre milioni di dipendenti pubblici il problema è sempre stato la carenza di soldi. Quest’ultima tornata – che rinnovava in ritardo un contratto 2022-2024 che termina ancor prima di essere firmato (!) - ha visto la Cisl firmare da sola un aumento di 160 euro per le funzioni centrali dei ministeri, mentre per gli enti locali non si è trovata una maggioranza per il rinnovo. Nel settore pubblico, il sistema sembra fatto apposta per non funzionare: conviene sempre aspettare la legge di Bilancio seguente invece di firmare subito. Ma almeno il settore pubblico ha regole chiare sulla rappresentanza sindacale.

  
Per quanto riguarda i salari minimi del 6-7 per cento dei lavoratori che fa lavori semplici con orari flessibili, il sistema di relazioni industriali italiano ha sempre pensato di poter fare a meno dei minimi di legge. Ora le cose sono in parte cambiate, ma il governo ritiene che il riferimento del salario minimo sia il contratto firmato dai sindacati “maggiormente rappresentativi”. Quindi ha pensato bene di fissare per legge, nel codice dei contratti pubblici, i criteri per cui un contratto è da considerarsi maggiormente rappresentativo e poi anche di incentivare la creazione di un nuovo contratto “rappresentativo”. Per fare questo ha scelto un contratto firmato da Confsal (un sindacato dei lavoratori) e Confimi (un sindacato delle imprese) che dovrebbe coprire una vastissima gamma di settori. Così il governo pensa di prendere due piccioni con una fava: negare i presupposti del salario minimo di legge e contemporaneamente rompere il monopolio dei sindacati tradizionali dei lavoratori e dei datori. E nel frattempo magari fare qualche piccolo favore ai consulenti del lavoro che certificano i criteri di rappresentatività. 


Peccato che c’è un grosso errore in questa strategia. Quel contratto non servirà ai lavoratori che avrebbero bisogno di un salario minimo legale: essi sono una platea completamente diversa da quelli che sono coperti da un contratto nazionale. Quel contratto invece costituirà una concorrenza al ribasso per molti contratti più tradizionali, rischiando così di indebolire la forza contrattuale dei sindacati tradizionali dei lavoratori e anche delle imprese. Ma l’ultima cosa che deve fare un governo che voglia alzare i salari è indebolire la contrattazione sindacale…