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il colloquio

"Chiudere i negozi nei giorni di festa è contro la libertà d'impresa". Parla il capo di Confimprese

Riccardo Carlino

La proposta di legge di Fratelli d'Italia vista dalle grandi catene di negozi: "Andare in questa direzione è anacronistico, distrugge ricchezza invece di crearla". Impiegati a riposo, ma anche meno guadagni. Intervista a Mario Resca

Acquistare un regalo all’ultimo secondo e salvarsi il Natale potrebbe diventare molto difficile. La proposta di legge presentata ieri alla Camera dal capogruppo di Fratelli d’Italia, Galeazzo Bignami, a prima firma del deputato meloniano Silvio Giovine, prevede infatti la chiusura di tutte le strutture commerciali durante le feste di Capodanno, Pasqua, Primo Maggio, Ferragosto, Natale e Santo Stefano. “Andare in questa direzione è anacronistico, distrugge ricchezza invece di crearla. E ciò vuol dire anche avere meno ore lavorate nei giorni di punta e meno posti di lavoro, oltre che opportunità di sviluppo per il paese”, commenta al Foglio Mario Resca, presidente di Confimprese, associazione che riunisce le grandi catene di negozi, con oltre 480 imprese e 90 mila punti vendita in Italia.

La proposta di legge esclude solo bar, ristoranti, pasticcerie, gelaterie e tutti gli esercizi posti all’interno delle stazioni marittime, aeroportuali, aree di servizio e stabilimenti balneari. “Rispettare lo stop dal lavoro, nelle sei festività che abbiamo individuato, significa garantire alle famiglie il diritto di riunirsi e stare insieme in giornate che siano di festa per tutti”, spiega una nota di FdI, che definisce la proposta “né di destra né di sinistra, ma di buon senso”.

Se entrasse in vigore, il divieto andrebbe a erodere il giro d’affari legato ai giorni festivi, pari circa il 2-3 per cento degli oltre 445 miliardi di euro di fatturato annuo del settore. "Sono deluso” dice Resca, “perché si parla tanto di sviluppo delle imprese, di competitività, di diminuire la disoccupazione, e poi nel frattempo si vuole tornare indietro”. Oggi, grazie al decreto Salva Italia varato dal governo Monti nel 2012, comuni e regioni non hanno possibilità di decidere sulle aperture festive e non c'è alcun obbligo di serrande alzate durante le festività: "Ogni esercente fa i propri conti, siamo liberi di tenere aperti. E se lo facciamo vuol dire che sono i consumatori a chiederlo. Perché dovremmo deluderli?”. Uno dei motivi sollevati è che il lavoro durante i giorni di festa contrasta con il diritto dei lavoratori al riposo. “Sul tema ci sono già i contratti, i dipendenti seguono delle turnazioni che tutelano il loro diritto di riposare, oltre a retribuzioni premiali. I negozi si organizzano e hanno una forza di manodopera per tenere aperto 7 giorni su 7”, spiega Resca, rigettando lo stereotipo del commerciante che sfrutta il lavoro sommerso: "Ci sono casi di abuso della manodopera, ma non si può punire chi invece segue le regole”. 

Per i trasgressori del divieto è prevista una sanzione da 12 mila euro. "Impedire a un negozio di lavorare quando ci sono dei clienti che vorrebbero acquistare si tratta di una grave limitazione della libertà d'impresa, tutelata anche dalla costituzione”, commenta il capo di Confimprese. Ma è anche un assist all'e–commerce, che secondo Resca "è già iper favorito perché può lavorare senza sosta. Così le imprese hanno dovuto investire sulle piattaforme pur di vendere qualcosa: il cliente oggi è molto più esigente di quanto non fosse prima. O lo serviamo noi o lo fa il commercio online”.

Non è la prima volta che la politica cerca di far chiudere i negozi durante i periodi di festa. Nel 2018, il governo guidato da Movimento cinque stelle e Lega si era impegnato per introdurre la chiusura obbligatoria di domenica. Una proposta che secondo il presidente di Confimprese condivide con quella di Fratelli d'Italia "la medesima ragione ideologica: quella che la domenica va santificata e le famiglie devono riunirsi in casa. Ma è un film non più attuale: ci sono sempre meno figli, le donne lavorano sempre di più, e le persone vogliono andare in giro a consumare e spendere”.

Per tutelarsi, l'associazione che rappresenta i principali gruppi del retail cercherà ora di fare arrivare le proprie istanze ai partiti. "Non siamo stati interpellati, ma cercheremo di avviare tavoli di confronto con chiunque vorrà. Proprio nel momento in cui siamo riconosciuti a livello internazionale fra i governi più stabili, decidiamo di farci male da soli”. Nonostante tutto, se passasse il disegno di legge, agli esercenti rimarrebbe ancora un piccolo spiraglio di decidere liberamente quando tenere aperto il loro negozio, specialmente il 25 aprile e il 2 giugno. Due festività nazionali non contemplate nel divieto.