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Affitti brevi

La lotta ad Airbnb in nome della sicurezza è il simbolo di un paese che non vuole crescere

Matteo Repetti

Lo sviluppo di queste piattaforme ha apportato benefici sia per l’utilizzo e per la remuneratività delle proprietà immobiliari, sia per la differenziazione dell’offerta turistica, oltre che dal punto di vista fiscale

Il Rapporto Censis 2024 presentato qualche settimana fa fotografa un paese che si limita a galleggiare, in cui dal 2003 al 2023 il reddito disponibile lordo pro-capite si è ridotto in termini reali del 7 per cento. Stando così le cose, si legge nel rapporto, il tema della crescita economica diventa centrale e il nodo di come sostenere il progresso della società italiana non può più essere rinviato (nel frattempo, anche le stime sul pil per il 2025 sono state riviste al ribasso dall’Istat, dall’1 per cento allo 0,5 per cento). Siamo intrappolati nella sindrome italiana, ripiegati su noi stessi, in un mondo in cui sempre meno famiglie e imprese competono, mentre lo sviluppo economico è possibile solo nelle società capaci di aprirsi al nuovo e di correre dei rischi. Difficile non convenire.

 

Tutti d’accordo? Non proprio. Il governo ha previsto regole più restrittive per gli “affitti brevi” in nome della sicurezzain considerazione della “necessità di attuare stringenti misure per prevenire rischi per l’ordine e la sicurezza pubblica in relazione all’eventuale alloggiamento di persone pericolose, legate ad organizzazioni criminali o terroristiche”, come spiega  una circolare del Capo della Polizia, Per queste ragioni di “sicurezza” è stato disposto che in Italia non si potranno più identificare da remoto gli ospiti di una struttura ricettiva. I titolari, o chi per loro, saranno tenuti a identificare di persona gli ospiti, e non più solo con documenti inviati per via telematica. Sembra di essere su Scherzi a parte ma è invece tutto drammaticamente vero.

 

E’ appena il caso di sottolineare come i sistemi di identificazione da remoto che vengono sorprendentemente banditi utilizzino tecnologie di riconoscimento degli ospiti con tracciamento biometrico e codici Otp (con password da utilizzare una sola volta) del tutto analoghe allo Spid, agli accessi agli autonoleggi e ai conti correnti bancari: di fatto, le nuove anacronistiche disposizioni riportano le lancette indietro di vent’anni. Da gennaio 2025 scatta poi l’obbligo, per i proprietari di immobili da utilizzare per gli affitti brevi, di dotarsi del fantomatico Cin (Codice identificativo nazionale): la proroga degli ultimi mesi si era resa necessaria a causa della estrema farraginosità burocratica e delle numerose inefficienze riscontrate (tra portali dedicati, differenti regolamentazioni regionali, doppie procedure, ecc.).

 

Insomma, destreggiarsi nel nuovo settore degli affitti brevi sta diventando sempre più complicato. Questo, quando in Italia ci sono quasi 10 milioni di case sfitte, e poco più di 500 mila immobili adibiti ad affitti brevi. Se mancano le abitazioni per i residenti, probabilmente, la responsabilità non è da imputare ad Airbnb e al nuovo settore degli affitti brevi, quanto semmai alla normativa vincolistica in materia di locazioni urbane e a un ordinamento incapace di garantire il rispetto dei contratti. Nel nostro paese, è bene ricordarlo, per riottenere la disponibilità del proprio immobile occupato da un inquilino moroso sono necessari, se tutto va bene, sfinenti procedure in giudizio e almeno due o tre anni. Piuttosto che aggiungere ulteriore burocrazia e nuove limitazioni con finalità evidentemente ostruzionistiche, si dovrebbe invece agevolare un sistema che rispetti il diritto di proprietà e valorizzi le nuove forme di utilizzo degli immobili. In altre parole, sarebbero auspicabili soluzioni innovative, non la caccia alle streghe.

 

La proprietà immobiliare intesa in senso tradizionale è infatti per diversi aspetti superata: è cambiata la struttura della famiglia, il mondo va più veloce e ci si sposta molto di più che in passato per lavoro o per turismo. Di conseguenza, anche le esigenze per l’utilizzo degli immobili urbani sono cambiate: servono meno metri quadri ma più servizi. Se viene generalmente invocata l’introduzione di limitazioni normative da introdurre per contenere i ritenuti effetti negativi del fenomeno degli affitti brevi – tra tutti l’aumento del prezzo degli immobili e il progressivo allontanamento dei residenti dai centri urbani – appare invece ragionevole ipotizzare che lo sviluppo di piattaforme come Airbnb abbia apportato benefici, sia dal punto di vista dell’utilizzo e della remuneratività delle proprietà immobiliari (anche ai fini della loro manutenzione e riqualificazione), sia per quanto riguarda la differenziazione dell’offerta turistica; oltre che dal punto di vista fiscale, contribuendo alla visibilità e tracciabilità di transazioni che diversamente cadrebbero facilmente nell’irregolarità.

 

D’altra parte, come sottolineato dal Censis, lo sviluppo economico e sociale è possibile solo nelle società capaci di aprirsi al nuovo e di correre dei rischi. L’alternativa è rappresentata dalla logica assistenziale del superbonus edilizio e della difesa corporativa di interessi e settori che rifiutano la competizione e la concorrenza, a scapito della crescita economica e del progresso civile.

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