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Risvolti inaspettati

Leggere bene i numeri. I dati macroeconomici degli ultimi anni non sono negativi

Riccardo Trezzi

Secondo l'Istat il reddito delle famiglie è salito, con un potere d'acquisto che continua a tenere il ritmo di crescita dei prezzi. E dal 2021 l’Italia è creditrice netta del resto del mondo. Qualche rammarico, però, c’è: non aver colto prima la solidità del ciclo economico

Nella giornata di venerdì scorso, l’Istituto nazionale di statistica (Istat) ha pubblicato il report relativo al terzo trimestre del 2024 sul conto trimestrale delle amministrazioni pubbliche, reddito e risparmio delle famiglie e profitti delle società. I dati contengono indicazioni positive, discutiamo le principali.

La prima notizia è che secondo l’Istat, il reddito disponibile delle famiglie consumatrici ha registrato una crescita dello 0,6 per cento rispetto al trimestre precedente e il potere d’acquisto è aumentato dello 0,4. La spesa per consumi finali (+1,6 per cento) è risultata più marcata rispetto a quella del reddito disponibile. In altre parole, secondo l’Istat il potere d’acquisto delle famiglie italiane continua a tenere il ritmo di crescita dei prezzi (anzi, va oltre). In tal senso, ricordiamo che la narrazione dominante degli ultimi anni secondo cui “il momento è drammatico” è stata parziale o del tutto errata. Le dinamiche inflazionistiche dal 2021 in poi hanno ridotto il salario reale dei singoli lavoratori ma la famiglia Italia nel suo complesso (ovvero il reddito disponibile delle famiglie) non ha perso potere d’acquisto sia perché sono stati aumentati i trasferimenti, sia perché sono aumentati gli occupati. Oggi assistiamo al recupero dei salari nominali e dato che l’occupazione rimane robusta, le dinamiche del reddito risultano favorevoli all’espansione dei consumi. Insomma, il momento non è affatto drammatico, anzi.

La seconda notizia è che nel contesto delle finanze pubbliche, il rapporto deficit/pil ha mostrato un significativo miglioramento assestandosi al -2,3 per cento nel terzo trimestre del 2024. Si registra anche un avanzo primario (1,7 per cento del pil) e un saldo corrente positivi. La dimensione dell’attivo primario è sopra le attese, trainato dalla dinamica favorevole delle uscite totali in calo del 4,4 per cento rispetto al terzo trimestre del 2023 e delle entrate totali cresciute del 3,9. Soprattutto si registra un marcato aumento della pressione fiscale (al 40,5 per cento), cresciuta di 0,8 punti percentuali rispetto a un anno fa. I dati, quindi, suggeriscono che la forza del mercato del lavoro ha iniziato a farsi vedere anche sui conti pubblici.

E’ bastato mettere un freno alla crescita della spesa per vedere un miglioramento dei conti senza intaccare le dinamiche occupazionali smontando così un decennio di propaganda antisistema secondo cui “non è possibile crescere con un avanzo primario”. Il dato della pressione fiscale non è certo positivo ma è purtroppo inevitabile poiché arriviamo da anni in cui la spesa pubblica non ha avuto limiti (i ringraziamenti partano dal Superbonus). L’ultima notizia (arrivata dalla Banca d’Italia) è che nel terzo trimestre del 2024 la posizione internazionale netta dell’Italia, ovvero la differenza tra le attività e le passività del paese, è risultata in attivo di oltre 200 miliardi di euro, il dato più alto degli ultimi 25 anni. 

Sebbene non si parli mai dell’indicatore della posizione internazionale netta, è in realtà cruciale perché indica quali paesi sono creditori e quali debitori netti. Dal 2000 al 2021 l’Italia ha avuto posizioni debitorie nette, soprattutto tra il 2006 ed il 2014. Ma a partire da inizio 2021, l’Italia è diventata creditrice netta del resto del mondo, grazie soprattutto alla performance delle attività. Detto in altre parole, è vero che abbiamo un grande debito pubblico (ed è ancora più vero che andrebbe abbattuto) ma per fortuna abbiamo oggi meno fragilità del 2011 grazie alle dinamiche degli asset. In conclusione, possiamo dire che i dati macroeconomici degli ultimi anni/trimestri non sono negativi, anzi. Il vero rammarico è non aver colto prima la solidità del ciclo economico a partire dal 2021.

Per questo, abbiamo continuato a mettere benzina (deficit fiscale) in un serbatoio già pieno, non ottenendo nulla. I paesi invece che hanno proceduto prima e più rapidamente al consolidamento fiscale (ad esempio il Portogallo) si trovano con debiti pubblici in rapida diminuzione, circostanza che non possiamo avere dato l’ammontare di cambiali che abbiamo contratto negli ultimi anni. La crisi del 2008 ci ha insegnato che eccessiva prudenza fiscale in momenti gravi acuisce i problemi. Ma la crisi del 2020 ci insegna il contrario: occorre avere avanzi primari consistenti in periodi di espansione economica. La speranza è che la politica impari anche la seconda lezione, ma su questo rimaniamo scettici.
 

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