movimenti bancari
Dove portano le mosse di Delfin in Mps
La cassaforte della famiglia Del Vecchio diventa il secondo socio dopo il Mef nel Montepaschi di Siena e si posiziona al centro del risiko bancario a prescindere dall'ipotesi di terzo polo del governo Meloni.
Prima della fine del 2024, Delfin, la cassaforte della famiglia Del Vecchio ha aumentato la sua partecipazione nel Montepaschi quasi al 10 per cento (9,78) diventando il secondo socio dopo il Mef, che detiene ancora l’11,7 per cento. E’ quanto emerso ieri da comunicazioni Consob dopo che Francesco Gaetano Caltagirone, circa un mese fa, aveva anche lui aumentato la partecipazione superando il 5 per cento e a questo punto non è escluso che l’editore-imprenditore romano, che sempre a cavallo delle festività ha posizionato due consiglieri nel cda del Monte (il figlio Alessandro Caltagirone e la manager Elena De Simone), possa ulteriormente rafforzarsi in un range compreso tra il 5 e il 10 per cento. Complessivamente, sia Delfin sia Caltagirone potrebbero avere raggiunto la massima soglia di investimento consentita senza richiedere l’autorizzazione della Bce e comunque abbastanza per avere un potere di influenza su una banca risanata e che sotto la guida di Luigi Lovaglio ha recuperato redditività dopo essere stata a lungo la “cenerentola” del sistema del credito italiano. Ma essere soci forti di Siena vuol dire anche posizionarsi al centro del risiko bancario a prescindere dall’ipotesi di terzo polo tanto caro al governo Meloni e che sembra ormai superata dall’offerta di Unicredit su Banco Bpm.
Lo scenario, infatti, è molto fluido e tutto può succedere ma un semplice calcolo si può fare: considerando le quote acquistate in Mps dalla stessa Bpm e da Anima Holding, in occasione del collocamento dell’ultima tranche di capitale da parte del Mef, Unicredit potrebbe in futuro arrivare a detenere l’8-9 per cento di Rocca Salimbeni definendo un assetto azionario con tre grandi soci con quote molto simili. Ma si vedrà. Nel frattempo, continua la difesa della banca milanese nei confronti dell’opas lanciata dal gruppo guidato da Andrea Orcel che ha definito una “killer acquisition” in un esposto inviato all’Antitrust. Dal canto suo, Unicredit starebbe valutando un ritocco del prezzo dell’offerta che, secondo un’analisi di p Morgan, potrebbe costare altri 4 miliardi.
l'operazione